sabato 4 agosto 2018

Colori


I colori stanno nelle lunghezze d'onda della luce, a ben vedere stanno anche nei nomi, nelle religioni, nelle preferenze personali per quanto riguarda le persone alle quali ci si vuole accompagnare nella vita: colori di altezza, colori di peso, colori di occhi e capelli, colori di sesso.
Non esiste il razzismo?
Faranno di tutto per negarlo perché i fascisti utilizzano modalità di comunicazione da sempre improntate sulla menzogna e sulla dissimulazione.
Tra loro o lontano dalla possibilità di essere registrati, si vantano delle loro bravate squadriste, ma ufficialmente negano o tentano di far passare l'idea di essere loro stessi vittime della discriminazione.
Questo è vero come potrebbe risultare vero che siamo discriminanti nei confronti di chi è violento, nei confronti, quindi, di chi deve essere individuato e messo in condizioni di non nuocere all'incolumità propria e altrui.
In Italia, tuttavia, una legge che fa discriminazione tra le persone a causa di una presunta appartenenza razziale, venne promulgata solo dal regime fascista nel 1933.
Poverini, allora nemmeno potevano immaginare che avremmo potuto analizzare il dna così bene da comprendere che, ad esempio, i sardi dell'Ogliastra sono geneticamente più simili ai rumeni che ai conterranei della Barbagia eppure a nessuno verrebbe in mente di chiedere a una persona di Nuoro di procurarsi il passaporto qualora volesse visitare Tortolì.
La razza è un'invenzione culturale necessaria a chi vuole marcare lo straniero che per un traettese già risulta essere uno scaurese, figuriamoci una persona scura di pelle, di religione poco diffusa a Minturno e con una media di consonanti nel nome superiore alla media di consonanti presenti nei nomi del sud Pontino. Vero è che dove l'unico cibo è un pezzo di pane ammuffito posato a terra, l'animale affamato fa di tutto per accaparrarselo, il problema nell'animale uomo è che la fame non si basa su sensazioni che porterebbero alla morte ma su percezioni che danno la sensazione di rinunciare al poco superfluo di cui si dispone se queste le si deve condividere con chi veramente ha fame. Come priviamo una persone dell'indispensabile per vivere senza risultare stronzi? Facendo credere che quel pezzo di pane ammuffito è indispensabile a noi e che l'altro, di colore diverso, con nome impronunciabile, che si fa la croce al contrario, ecc. non è umano. Nel 1933 in Italia quella legge, serie di norme che differenziava le razze, al punto sette declamava:

"È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l'Italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità."

Quanto scritto in quel manifesto ancora oggi risulta essere un paradigma per alcune persone ma coloro che, durante la quotidianità, ne applicano i princìpi, sono pochissime e assurgono con più facilità alla cronaca per la classica legge del giornalismo dove fa più notizia un uomo che morde un cane che viceversa, la maggior parte delle persone è proporzionalmente analoga al numero di mamme che amano i propri figli ma non finiscono sui giornali per le loro carezze e per il loro amore. Dobbiamo avere pazienza e attendere che questa onda passi ma non rinunciamo mai a denunciare le discriminazioni e non facciamoci ingannare dalla propaganda che vuol far passare il razzista per uno che ha un'opinione e in quanto tale gli si deve dare l'opportunità di esprimersi perché la razza umana è una sola ed è colma di diversità ed è proprio la diversità la qualità più bella. Paradossalmente, per essere tutti uguali, dovremmo essere tutti come Salvini?
L'uguaglianza è un paradigma senza fondamento perché, non esistendo, darà sempre modo di creare razze anche laddove tutta la popolazione terrestre fosse del medesimo colore.
L'uguaglianza tra le persone non esiste, l'uguaglianza è un concetto errato per principio, non esistono persone uguali, nemmeno due gemelli omozigoti sono uguali.
L'uguaglianza non è una condizione esistente ma un comportamento da adottare.




domenica 1 luglio 2018

L’incavo del tuo fianco



Da una parte scendo, 
dove il tepore scioglierebbe la neve più fredda, 
per farla correre fino al fianco del ginocchio dove, 
su una gambetta di bimba rimase dolce cicatrice, 
racconta di te; per burla o disattenzione, 
rimase per me.
Dall’altra scendo, 
verso il ventre che mi ha donato ciò che di più bello ho,
con te mi ha insegnato a lasciar andare per amore, 
per quella carne la cosa più difficile.
Ti guardo, nella prima luce, 
ora dormi, 
vedo l’incavo del tuo fianco, 
niente di più bello.
Risalgo la schiena attraverso stretti boccoli 
che cerco altrove quando ti ho al fianco e quando non ci sei,  
così ti vedo anche se non davanti a me.
Ti giri in un sorriso, mi offri le più belle sopracciglia.
Sei sveglia?
E tu?
Da quando sei con me, sempre.

giovedì 28 giugno 2018

Viaggio tra le parole



In un momento di rabbia che l'attuale Presidente del Consiglio mi fornisce amorevolmente con costanza ormai quotidiana, scrivo un post su fb.
"Esistono alcune parole, le quali, dopo averle adottate per descrivere Salvini e Trump, sarà difficile utilizzarle per descrivere altre persone, tipo, che ne so, stronzo".
Dopo averle scritte mi sono chiesto se esiste una parola che descriva un concetto per i meriti acquisiti dal soggetto protagonista del concetto stesso.
Vado su google per cercarlo ma, pur esponendo il quesito nelle più svariate forme che mi vengono in mente, non sortisco l'effetto desiderato.
Scrivo a due amici: Silverio Novelli che cura le pagine web per la Treccani e Massimo Gerardo Carrese unico e solo fantasiologo e domando loro: se uso una parola per descrivere una persona e questa nasce da un suo merito, può considerarsi un meritonimo?
Novelli così mi risponde:
Beh! il neologismo d'autore è bello. Potresti migliorarlo italianizzando dal greco la parola merito appicicandola a onimo per vedere l'effetto che fa.
Per seguire l'autorevole indicazione cerco la parola merito e sinonimi, in greco. Tra queste, per la simpatica presenza di una "x" scelgo degno che si scrive, italianizzandola, axio. Il connubio che ne deriva genera una bella, parola: axionimo.
Riferisco, il risultato di questo mio breve impegno, al paziente Novelli motivandolo  come segue.
"Un grande e antico albero lo si considera monumentale, in questo caso la parola monumentale potrebbe essere un axionimo?"
Continuando a giocare, insisto:
"Pensando ad un artigiano che nel mio mondo, la tipografia, ritengo importante, come Alberto Casiraghi, o pensando ad un fantasiologo come Massimo Gerardo Carrese, le parole artigiano e fantasiologo, possono essere considerati axionimi?"
Prima, però, di ottenere una risposta mi sorge un dubbio che espongo all'ormai da me intasato Silverio.
"Però la parola antonomasia, un po', vuol dire questo"
Continuo a cercare leggendo la definizione della parola antonomasia, quindi insisto con l'ormai strenuato interlocutore:
"oppure l'axionimo, che nel frattempo anche il mio cellulare inserisce tra le parole suggerite, può essere il vocabolo utilizzato nella figura retorica dell'antonomasia?"
Il giorno successivo, il buon Novelli mi risponde:
"Un bel gioco intellettuale (torna l'amata parola gioco) il tuo.
E non lo dico con ironia. Certo, se chiami Casiraghy (la ipsilon viene inserita per vezzo dallo stesso Casiraghy nda) utilizzi un'antonomasia. Tra l'altro, dalla regia mi dicono che in retotica l'axionimo esiste (mi indica la fonte: Clicca qui
L'amico Silverio, da buon linguista, nel frattempo mi onora di sue ricerche e continua:
"Quindi hai visto giusto e io ho imparato una cosa che non sapevo grazie a te."
Wow! rispondo, e come spesso ripete il Fantasiologo, giocare non è solamente svago ma molto, molto di più e la fortuna di conoscerti con la possibilità di accedere a tue indicazioni, il gioco si è infine rivelato facile, un po'come leggere la pagina delle soluzioni.
L'umile, quindi ancor più grande, linguista aggiunge:
"Ma io di assionimo/axionimo, mi ero proprio scordato, l'ho ritrovato nei vecchi quaderni di appunti universitari. Così sapevo ma non ricordavo, quindi, non sapevo."
Conobbi Silverio Novelli in occasione della prima edizione de "Il Bicicletterario",  parlando con lui gli riferii della mia passione per le parole e di come mi piace giocarci in modo serio, semiserio e stupido, per questi motivi disse che  sicuramente mi avrebbe interessato conoscere una persona con la quale era in contatto per un neologismo da questa generato: fantasiologo.
Non ricordai di questo avvenimento fino a che non lessi una locandina dove, la "Piccola libreria 80 mq." annunciava una performance di Massimo Gerardo Carrese", il Fantasiologo, appunto.
Poteva, questa notizia, passare inosservata?
Ovviamente no, infatti, la sera stessa, dopo due ore di traffico a causa del balneare rientro di chi vive all'interno della provincia di Caserta, mi trovo a Selva Cava con Silvy per assistere a cosa ci insegna il Fantasiologo.
La settimana successiva, ci mettiamo nuovamente in auto, e assistiamo ad un'altra sua manifestazione A questo punto, è inutile quasi dirlo, faccio la sua conoscenza iniziando un'amicizia che dura tutt'oggi. Ho coinvolto anche lui fin dall'inizio,  però pensava ad un mio comunicargli di mie scoperte.
I viaggi si possono effettuare da fermi e, confermando il sottotitolo di questo blog, Passeggiate tra le sinapsi, con le parole, possiamo viaggiare dentro di noi.
Scopro, tra l'altro, che anche Salvini serve a qualcosa.
Purtroppo non avrò la possibilità di fregiarmi  del titolo di onomaturgo ma essendo giunto ad un vocabolo che ritenevo inesistente, con le mie sole forze, posso forse essere considerato un paraonomaturgo, o no?
Forse in un'altra puntata.
I

lunedì 25 giugno 2018

Pozzilli - giorno quattro

Ricomincio da quattro. Il giorno tre, non dovendo fare nulla se non aspettare, ed essendo entrato in una routine senza particolari avvenimenti a parte l'arrivo in camera di Giancarlo e l'allarme che si è sviluppato a causa del rischio che potesse entrare in coma, ottimamente scongiurato dal dottore che l'ha preso in cura con causa in  un piccolo edema intracranico. Dovrà subire un intervento per aspirarlo ma dovrebbe essere rientrato l'allarme che faceva temere il peggio.

 CURA e QUANTI
Perché l'entanglement, secondo me dimostra l'empatia e la possibilità di misurarla e, quindi, di avere la possibilità di percepirla e di conseguenza, trasmetterla.
Ormai è dimostrato che se due bosoni, atomi, o insiemi di atomi quali le molecole e, di conseguenza, due organismi, una volta che, per qualche motivo, sono entrati in relazione, si sarà formato tra loro un legame tra loro indissolubile. Non ci sarà più distanza spaziale ne temporale che li possa staccare. Avranno ormai per sempre oltrepassato quel limite dove tempo e spazio determinano ogni cosa, non so se eliminandoli o trasformandoli ma non avranno più infuenza su di loro.
La nostra vita percepisce di entrare in contatto con il tutto tramite parti del nostro organismo deputate ad attivare il sistema binario 0/1 dove uno è il contatto e l'altro il non contatto.
Le retina percepisce il flebile contatto con i fotoni e trasmette immagini al cervello mentre nella bocca e nel naso milioni di recettori ci permettono di analizzare microscopiche particelle trasformandole in sapori e odori. Nell'orecchio due ossicini toccati dall'aria che vibra a loro volta si urtano, così riceviamo la possibilità di sentire suoni e rumori.
In  tutto il corpo abbiamo più o meno elevate concentrazioni di terminazioni nervose che ci aiutano a capire se altri corpi, più o meno rigidi, caldi, freddi o affilati  ci stanno toccando.
Poi abbiamo la capacità sinestesica, a volte consapevole ma più spesso no, di utilizzare tutti questi sensi o parte di loro, in concerto, per percepire cose alle quali meno pensiamo essere cose che ci toccano o non ci toccano quali, la fame o la paura.
Ora, perché non dovremmo avere un organo o una serie di organi che ci facciano percepire l'entanglement?
Eppure esiste l'empatia, in alcuni particolarmente sviluppata in altri meno, in altri ancora come per i sordi o i ciechi completamente assente se non stimolata in modo a loro più consono (chi ha tutti i sensi è avvantaggiato, ma ci sono individui che li hanno tutti e ben sviluppati ma di empatia non se ne parla proprio, comunque, immagini e suoni risultano più immediati come stimoli atti a favorire l’empatia).
Ecco perché me ne sono andato con la testa su questo ragionamento, per mettere insieme le cronache dall'arnia (1) e la chiusura dei porti:  la capacita di cura.
Qui nell'arnia le persone sono, per elezione naturale, particolarmente dotate alla percezione dell'entanglement, in chi chiude i porti questa è assente, in pratica questi ultimi sono sordi e ciechi all'empatia.


Ecco come la quantistica, per me, contempli l'empatia, quella cosa che, piano piano, ci porterà ad essere sovrumani, a superare dunque, la mera barriera formata dalle leggi che regolamentano la conservazione della specie che forse, in noi umani, è il tratto distintivo dalle altre forme di vita, forse.
Qui dall'arnia buone nuove, l'intervento ha avuto un esito che ha scongiurato tutte le ipotesi peggiori e i postumi dell'anestesia non sono stati per nulla uguali a quelli che ho avuto in occasione di interventi chirurgici precedenti, in pratica non ho avuto postumi. Penso che oltre ad avere avuto un bravo nonché simpatico anestesista, le tecniche e le molecole utilizzate per indurre il sonno, siano notevolmente mutate e prive quasi di strascichi debilitanti.
La gamba destra è fin da subito priva di dolori e anche l'intorbidimento che provavo in tutta la parte esterna della gamba è scomparso.
Quindi, a parte la terribile seggiata che qualcuno m'ha chiavato a ret 'e rini, il tutto ha sortito gli effetti dei migliori auspici.
In un paio di giorni lascerò l'arnia e tutti i suoi comfort.
Abbiate cura.

domenica 24 giugno 2018

Sono contento

Lo so, l'immagine qui di fianco è inquietante ma serve a far capire quale sarà il prossimo delirio di colui che, purtroppo, è un ministro italiano che invece di svolgere la sua mansione, continua la sua costante collezione di feibukiani like. Si care compagne terrestri, questa sarà una delle sue prossime esternazioni, l'indicazione per dimostrare il vostro amore per la Patria. Fare figli e partecipare a corsi su come meglio servire il Paese e di come bisogna essere sottomesse ai mariti. Si otterrà così una serie di ottimi risultati tra i quali il dimezzamento delle delle lamentele e della disoccupazione nonché la tutela di una razza italica che è ora di avviare seriamente.
Ma, ora dico cosa sta cominciando vicino a dove vivo.
Sta cominciando tutto il contrario, in quanto è diventata sindaco una compagna di lotte. Per la verità io ho appoggiato la campagna elettorale di un suo avversario politico perché più lo sentivo vicino al mio pensiero partitico, in quanto, il gruppo di compagni che lo ha appoggiato fa parte del mio stesso partito, ma che abbia vinto Paola Villa mi fa immenso piacere.
Ora spero che riesca a conservare e rinforzare il ruolo di lottatrice che fino ad oggi ha mostrato di avere, può diventare, soprattutto nel basso Lazio, terra prevalentemente di destra per i noti trascorsi storici, l'antitesi dei salviniani desideri.
Paola, da questo post parte il mio auspicio che il candidato che io ho appoggiato, il giovane Claudio Marciano, ti accompagni, magari con una costruttiva opposizione, ma anche che tu riesca a soddisfare la mia contentezza per la tua vittoria partendo dalle lotte con le quali abbiamo ottenuto, parziali ma importanti buoni risultati.
Acqua pubblica, tutela dell'ambiente e del nostro amato Golfo e Matriottismo. Si, matriottismo in opposizione alle modalità che Salvini e tutti i fascisti vorrebbero. Nessuna Donna genererebbe figli per farli diventare carne da cannone, nessuna Donna chiuderebbe i bambini in gabbia, le Donne con la D maiuscola non fanno queste cose; è vero esistono anche le donne con la d minuscola come minuscoli sono tanti uomini ma, per fortuna le Donne sono di più e ho l'onore di esserne circondato.
Può sembrare un post incensante ma tu sai come la penso e lo sanno le persone, Donne e Uomini, che mi conoscono, degli altri non occupiamoci che c'è tanto da fare.

sabato 23 giugno 2018

Pozzilli - giorno due

  Pozzilli - giorno due
Il diuturno e costante cicalino, di notte, diminuisce la frequenza ma non smette, mi domando quanta anestesia mi dovranno propinare lunedì visto il nervoso che nel frattempo si sarà andato accumulando.
Stamattina, dopo ben due ore di sonno, il propizio risveglio giunge alle cinque e mezza con sfondamento della porta, accensione delle luci, buongiorno rincuorante, siringa brandita da carina infermiera e la domanda: le hanno inserito la cannula?
Al mio no esce un istante e torna con una garza, quella destinata allo sfregamento della pacca, ora lo so che non devo sfregarmela da me. Quella che contiene le pastiglie arriva un quarto d'ora dopo portata da un infermiere che misura la pressione, gli riferisco che pochi giorni fa ho ripristinato quella delle gomme dell'auto ma per quella del braccio ho avuto una dimenticanza. Il suo labbro si alza di lato, ma poco poco, la stronzata che ho detto fa parte di una routine per lui ormai consolidata, ne più ne meno del premere la pompetta dello sfigmometro.
Chiamo Silvy per le eventuali notturne novità e, alle 8,30 arriva una lauta colazione per la quale devo optare fra le numerose opzioni: latte o te?
Prendo il latte, che risulta buono ma non indago oltre. Le fette biscottate sono come la lucetta del frigorifero, si comprende se sono integre solo dopo aver aperto la bustina che, essendo blindata, offre poche opportunità di conservarle come forno le ha fatte, quand'anche in queste ben più comode condizioni; in compenso, la fragola contenuta nella micro vaschetta non sa di niente e per spalmarla sulle svariate schegge di fetta biscottata che nel vassoio stanno fuggendo in tutte le direzioni, mi cospargo le dita di rosso gel: in pratica, bagno nel latte i framenti e, ogni volta, traggo quel che rimane della tragica esistenza della fragola dalle dita ormai oltremodo appicicose e, con restio impegno, mi lasciano continuare il primo pasto del giorno.
Finito che ho di fare colazione entrano due inservienti, dei due, la ragazza mi domanda: Si alza?
Il meno possibile, sa com'è ho forti dolori che mi...
No, no si deve alzare dobbiamo rifare il letto!
Eppure, giuro, il punto interrogativo c'era, l'ho visto anche nel fumetto che le sovrastava il capo.
Sto per dire che l'ho appena fatto io ma desisto, non vorrei fargli perdere un altro prezioso secondo, infatti, è evidente che rifaranno il letto a costo della stessa vita, loro e dei propri familiari.
Passo laattina leggendo e scrivendo.
Arriva il pasto in un momento di breve ma, fin lì, riuscito pisolino.
Maccheroni più simili a cannelloni ma tristemente vuoti con ragù che vi venne menzionato come genovese ma dell'indispensabile cipolla forse è rimasta l'immagine che era presente sui contenitori solo che i contenitori sono rimasti fa qualche parte in cucina. Il secondo consiste in una fetta di petto di pollo con piselli: se non fosse che il sale è rimasto accanto ai contenitori delle cipolle, sarebbe un secondo niente male.
Finalmente la mia Silvy arriva con caffè buono e ciliege saporite.
Le due ore con lei volano nei resoconti delle reciproche giornate mentre lei mangia un panino, per venirmi a trovare non ha potuto mangiare a casa, veramente ne consuma solamente metà.
Appena se ne va accendo la radio struttando internet, nessuna delle due tradizionali sintonie ha modo di arrivare fino a me e io ascolto solo radiotre. Non ce la faccio a sentire più di due volte per semestre lo stesso brano musicale mentre qualsiasi altra rete, soprattutto quelle locali, trasmette decine di volte al giorno i medesimi venti brani, per intere settimane, praticamente come ascoltare volontariamente e all'infinito le stesse reclame o le stesse barzellette, mi viene da urlare nell'apparecchio: va bene! ho capito, l'ho addirittura imparata a memoria. Poi s'incazzano perché a Guantanamo usavano le medesime modalità come sistema di tortura, io avrei fatto il troisiano disegnino per indurli a smettere ma la maggior parte delle persone si sarebbe addormentata per la noia di una routine alla quale è ormai avezza.
Sono quasi le diciotto, arriva la serale pappa.
Maccheroni con le verdure: non so se hanno lavato quelli rimasti a pranzo, approfittano della mia memoria di pesciolino rosso distratto però non sono male ma, come giustamente dicono Silvy e Monica, i miei gusti e la mia smisurata
fame in qualcosa che non può fare testo, per fortuna, aggiungerei, infatti, per secondo, arrivano involtini di prosciutto (così li ha chiamati anticipatamente, l'inserviente della mensa stamattina) con insalata verde. L'insalata era effettivamente verde e anche gli involtini erano involtini, solo che nulla ti aspetti dall'insalata ma dagli involtini, quanto meno, qualcosa di involto lo immagini, macché, involtini involti su se stessi, quindi, involtini di fette di prosciutto involti di fette di prosciutto, praticamente un imbroglio come petrebbe essere dire che un'auto ha i finestrini elettrici perché, pur non avendo il gvs di Giovanni del famoso trio, prendi la scossa perché collegati all'alternatore, effettivamente
sono elettrici ma umanamente l'aspettativa, oltre a far male, delude un pochino.
Ora, dopo aver scritto chili di monate mi appresto a nottatare il cicalino degli infermieri, penso che mi abituerò, dovrò farlo, altrimenti domani sarò come una corda di violino di due centimetri alla quale è appeso uno dei TIR che ieri faceva retromarcia in corridoio.
Ah! No, era il cicalino.
Felice notte, a tutti, vicini e lontani.

venerdì 22 giugno 2018

Pozzilli - giorno uno

Prima della discesa che viene dopo la galleria che precede l'ingresso a Venafro la visibilità è di pochi metri a causa della nebbia ma subito dopo, scompare, non che il cielo sia sereno ma, il suo azzurro, qua e là, si vede.
Dietro, il verde delle montagne attrae decisamente di più dell'ingresso alla clinica, nonostante tutto i mesi di sofferenza sono il giusto stimolo ad entrare, non prima di un caffè, di cui ricordo la bontà, preso in un bar.
Dopo aver chiesto cosa dobbiamo fare, ad un solerte stewart che, notando la valigia ci viene incontro, per iniziare le procedure di ricovero, ci sediamo pochi minuti in sala d'attesa.
Penitenti!
Sento chiamare, non ho bisogno di controllare, come fanno quasi tutti, se si tratta dell'invito ad un omonimo, con il mio cognome di solito non c'è nessun altro, quindi con la veloce lentezza che mi consente l'addormentato arto, mi avvicino al bancone.
Come in albergo inizio il chek-in, mi dicono dove recarmi e mi donano una scatoletta cubica di 10 cm. per lato e una tovagliette usa e getta infilata in una busta trasparente. La scatoletta contiene altre tre scatole nelle quali ci sono: una cuffia da doccia (l'avessi saputo non avrei tagliato la fluente chioma); cotton fioc e bustine di sapone liquido. Vi sono, inoltre, tre mini bottigliette contenenti liquidi per il body.
La prima visita mi viene fatta dalla caposala del reparto di neurochirurgia che comprende il riempimento di una decina di fialette dai tappi colorati, con un rapido gesto, alternano il loro infilarsi in una siringa che già si è appropriata della compagnia di una vena del mio braccio.
Alcune piastrine adesive mi vengono appicicate su caviglie, braccia, torace e polsi per poi essere collegate con dei fili numerati all'apparecchio per l'ecg dal quale si srotola un nastro di carta sul quale uno zig zag rosso viene stampato; il mio cuore sta parlando con una lingua a me sconosciuta a persone che vedo per la prima volta e questo mi fa ingelosire non poco.
Prima di uscire mi viene chiesto di procurarmi il dischetto della risonanza magnetica e di consegnarlo al personale del reparto, quindi scendo ma ancora non è pronto, prima di tornare su facciamo colazionr alla bouvette.
Mi siedo mentre Silvy si procura due cornetti, per lei vuoto mentre il mio è sicuramente fornito dal reparto grandi ustionati per procurarsi un numero adeguato di pazienti, la crema, infatti, ha la temperatura dei fantozziani pomodorini al forno, trecento gradi fahrenheit. Lo apro e insufflandolo con la bocca spero di abbassarne la temperatura ma, un pezzetto si stacca e, rimanendo tra pollice e indice, permette al lembo opposto di appoggiarsi al labbro inferiore facendomi comprendere esattamente la temperatura dell'interno del forno, dal quale, testè è uscito.
Torniamo al piano e dopo pochi minuti un'infermiera, seguita da un codazzo precedentemente costituito al quale chiamato mi aggrego, ci conduce in un ascensore: piccolo ma ci entriamo tutti, tranquilli! Si appresta a dire, e continua: andiamo a fare le radiografie. Perché anche gli infermieri debbano fare le radiografie non lo capisco, le dosi quotidiane di irradiazioni non dovrebbero essere limitate. Infatti l'infermiera si trattiene con i colleghi e i raggi ce li becchiamo solo noi. Dopo averli fatti, mi guardo il petto ma non vedo nessuna x, forse sono trasparenti.
Di nuovo nel piccolo ma sufficiente ascensore, torniamo in sala d'aspetto, pochi minuti e mi chiamano da un altra stanza; è l'assistente del cardiochirurgo.
Come si chiama? blablabla.
Dove è nato? blablabla
Dove risiede? blablabla
Le domande sono retoriche, infatti, i blablabla li emette lui.
Bene, si accomodi sul lettino.
Alla mia velocità di crociera attraverso la stanza e l'accontento.
Esegue alcune manovre  con i miei piedi e con le mie gambe consultandosi, ad ogni manovra, con la collega seduta lì vicino
 Prima di farmi alzare chiede alla collega di farmi ripetere uno movimenti per la conferma di una denervazione, la conrfema, già visibile dall'elettromiografia, dal rapporto del tecnico che l'ha effettuata e dal medico che mi ha in cura, la fornisce anche lei: ho una denervazione ai muscoli esterni della gamba destra.
In due minuti mi spiegano perché e come verrà eseguito l'intervento, altri dieci li passano a dirmi i rischi che questo può comportare, in pratica, tra probabili infezioni, possibili ripetizioni dell'intervento a causa di una improbabile cattiva uscita dello stesso e possibili emorragie con annesse trasfusioni, l'ovvia conclusione sarebbe quella di tornare a casa. Il ricordo degli ultimi due mesi di dolori lancinanti mi fa pensare: ma quando buono buono, po' mai esse' peggio? quindi firmo il dissuasivo consenso informato.
 Per l'ennesima volta mi vien detto: Può andare.
 Esco e Silvy è già stata condotta nella camera che mi è stata attribuita. Da mamma esemplare si è già appropriata di armadio, comodino e mensola del bagno, con il contenuto della valigia che ha preparato già due settimane, da quando il neurochirurgo, visitandomi privatamente (nel senso che mi ha privato di una consistente, per me, quantità di Euri) disse che era necessario operarmi.
 Da quando sono uscito di casa sono passate più di cinque ore e finalmente mi sdraio sul  letto alleviando il dolore che fino a quel momento di era andato accumulando.
 Entra l'addetta alla mensa, espone il menù per il successivo pranzo e per la cena, a parte una pasta con verza, il resto mi sembra accettabile.
 Il primo pasto arriva dopo pochi minuti: pasta con le zucchine e rollè di tacchino con spinaci; mangio tutto, compresa la banana ma la pappa di popeye la rimando ai propinatori.
 Penitenti?
 Eccomi.
 Mi segua, visita cardiologica. Mi dice un'educata infermiera con il volto inespressivo di chi dice per la milionesima volta la stessa cosa.
 Il cardiologo fa scorrere lo sguardo sullo zig zag rosso che si dipana sul rotolino dell'ecg domandadomi: ha mai avuto problemi di cuore? È evidente che parla del muscolo quindi rispondo di no, arricchisco la risposta dicendo di essere donatore di sangue, quindi, ne ho avuto conferma negli ultimi quarant'anni anche se da due non dono.
 Si alzi la maglietta: è evidente che avrebbe voluto che io mi avvicinassi a lui ma, con sacrificale sforzo è lui ad avvicinarsi a me, ausculta:  può abbassarsi la maglietta. Buongiorno.
 Saluto l'emiciclo di persone presente dietro di me nella stanza ed esco.
 Silvana se ne va, dopotutto cosa resta a fare, si tratta di passare tre giorni nella noia totale prima dell'intervento.
 Pet tutte queste ore, un camion effettua retromarce in corridoio, un bibip continuo, arriva da fuori la stanza. Ovviamente non si tratta di TIR ma di un cicalino che suona dalla stanza adiacente alla mia con decibel veramente invalidanti. Ecco perché, nonostante il chirirguo mi avesse annunciato un'attesa di quindici giorni, nell'arco di ventiquattro ore mi hanno chiamato, la stanza dove sto, da solo, la possono dare solo a pazienti pazienti e la fama acquisita nel fare le file, deve essere giunta fin qui. Infatti, c'è da sapere, per comprendere quest'ultima mia affermazione, che quando mi appropinquo per prendere posto nella coda che scelgo nei supermercati, commesse e commessi: contano i soldi per il periodico alleggerimento della cassa; cambiano il rullino della cassa; si alzano per fare due passi sgranchenti gli arti; vanno in bagno o prendono un caffè.
 La conclusione che da tempo ho ormai tratto è che devo avere proprio un volto di chi ha pazienza da donare.
 Ore 19,30
 In stanza entra una ragazza dall'aspetto di chi è appena diventata maggiorenne e si presenta (nei prossimi giorni riferirò il nome che, come al solito, non ricordo) chiedendomi se ho la cannula.
 Mostro le braccia e torna ad uscire pochi secondi, si avvicina e, brandendo una siringa, mi porge una garza.
 Strano, mi dico, di solito è l'infermiera stessa a strofinare il punto da perforare.
 Il mio volto mostra evidentemente una certa perplessità perché la bimba, alzando e spingendo in fuori il mento, dice: prenda le pastiglie.
 Apro l'involto di garza e, effettivamente, contiene due pastiglie. Tra le iniezioni fatte negli ultimi due mesi e i buchi che mi hanno traforato le gambe per l'elettromiografia è già qualcosa che gli arti inferiori non si stacchino come l'ultimo lembo di carta igienica quindi, che mi stiano facendo un altro buco è per me quasi impercettibile, non sento l'ago cosi come, per l'annosa consuetudine,  non sento mutande e pantaloni una volta indossati.
 Ora, come i bonobo sull'albero, sistemo lo sconcicato letto e scrivo queste righe.
 Buonanotte.

mercoledì 20 giugno 2018

Vallaurea Piccola


Alessandro Parente,
durante il concerto commemorativo che solitamente si tiene nella bella Vallaurea Piccola di Coreno, ci racconta storie a lui trasmesse dagli anziani del paese. Storie riguardanti lo sfondamento, da parte degli alleati, dellaLinea Gustav.
Mesi e mesi di battaglie fra soldati attestati su due monti vicini: i tedeschi da una parte difendevano la linea difensiva che dal Garigliano arrivava fino ad Ortona; dall’altra gli alleati che cercavano di raggiungere Roma.
Morti a migliaia, da entrambi i lati, le cui vicende non sono molto note in quanto il successivo sfondamento da parte degli alleati, ha dato una svolta determinante allo svolgersi della guerra che da quei momenti in poi ha riempito le cronache ed i libri di storia.
Ho assistito all’evento proposto dal Maestro Parente e dai suoi ragazzi, in più occasioni e ho avuto modo di ascoltare i suoi racconti con sempre viva commozione e i segni che lascia in me ogni volta, diventato vivi, quasi tangibili.
Ad un certo punto mette particolare enfasi su un fatto che già di suo è molto evocativo: dopo che in un video sua madre racconta della meraviglia che colse i corenesi a vedere i proiettili di cannone sorvolare il paese, tanto da farli correre nei punti più alti per vederli meglio, racconta anche di come, per sfuggire ai rastrellamenti e alle bombe, debbano raggiungere i medesimi punti alti per salvarsi. Raccolgono quanto riescono a portarsi dietro e lasciano le proprie case.
Raccolgono quanto riescono a portarsi dietro e lasciano le proprie case.
Perché questo fatto non lo si prende così come è, ora, quando a compiere questi gesti sono altri e noi siamo il punto in alto dove rifugiarsi?
Grazie al Maestro Parente e ai suoi ragazzi che con i loro organetti riescono a rendere un po’ più sopportabili le lacrime che questi racconti, dopo tanto tempo, fanno ancora scorrere sulle guance delle persone buone.



martedì 19 giugno 2018

Ho sbagliato


Sono cresciuto a Gravellona Toce, la cittadina più vicina nella direzione del passo del Sempione è Ornavasso, primo paese della Val d’Ossola.
Nel 1944, in questa bellissima valle, nacque la Repubblica dell’Ossola che, prima della riconquista da parte dei fascisti, produsse un periodo di libertà durato 40 giorni e molte delle cose fatte in quei giorni furono di ispirazione per i Padri Costituzionalisti. Sono cresciuto, quindi, in una zona prevalentemente antifascista, in un’epoca di sviluppo industriale che ha attratto italiani da ogni dove, sia dal Polesine dopo l’alluvione del 1951 che dal meridione.
Essendo nato nel 1962, quando iniziai ad andare a scuola cominciai a frequentare l’Italia. Io stesso, con la mia famiglia, provenivo da Bolzano e per tutte le elementari, suddivise in quattro sezioni, le classi erano composte più da forestieri che da autoctoni nonostante fosse l’epoca dei cartelli con scritto: 


Le ultime visite fatte in quei posti mi hanno fatto notare qualcosa confermato dai viaggi virtuali che faccio con internet: una forte avversione per lo straniero.
Miei ex compagni di scuola che dimenticano la dimensione umana di chi migra nascondendosi dietro a paradossali “però noi…”.
Diventando grande le mie idee sono sempre state di sinistra, non solo, addirittura di estrema sinistra con sguardi utopistici orientati verso un’auspicabile anarchia.
Da alcuni anni faccio parte di comitati e associazioni che si spendono per la salvaguardia dell’ambiente e per la diffusione di buone pratiche e di tutela del Bene Comune; questo mi ha portato ad essere spesso in contrasto con la parte più centrista della sinistra.
A cosa mi ha portato questo? Ad ottenere parziali buoni risultati laddove  si esagerava nel violentare l’ambiente e l’uomo.
Ma, c’è un grosso ma; ma grosso grosso.
Il mio lottare per la diffusione di pensieri e pratiche il più di sinistra possibile ha comportato un lavoro dove è necessario leggere, studiare e informarsi il più possibile per avere il maggior numero di strumenti così da generare il modo che la maggior parte di persone possa accedere ad informazioni che contrastino la propaganda utile agli affaristi che tutto hanno in animo tranne che il benessere diffuso, in favore di un benavere per pochi.
Ok! In tanti abbiamo fatto questo, io stesso ho conosciuto migliaia di persone in vari ambiti che fanno ciò. Questo modo di fare, però, ha frazionato la sinistra in tantissime piccole parti quanti sono gli argomenti da trattare, evidenziando in me il ma di cui sopra e cioè, chi sta a destra, sfruttando l’ignoranza anziché la diffusione della cultura, ha vinto facilmente perché tra il lavorare per diffondere informazioni e la voglia di acquisirle e il lavorare per non far sapere nulla facilitando la voglia di fregarsene, non c’è partita.
E’ così facile da comprendere che mi sento quasi scemo.
Io studio e organizzo incontri per far sapere cosa bisogna conoscere sperando che in chi partecipa nasca la stessa voglia di impegnarsi mentre Salvini dice stupidaggini ad ogni piè sospinto diffondendo l’idea che è inutile studiare, o semplicemente leggere, per sapere le cose tanto ci pensa lui.
Io studio per diffondere dati riscontrabili, lui riporta dati falsi contando sul fatto che le persone non leggono nemmeno il titolo di un articolo.
Io dico a qualcuno che può andare in un dato luogo perché, pur essendoci una trappola, è stata disattivata,  e lo tranquillizzo fornendo la fonte dell’informazione e il modo per raggiungerla.
Salvini dice di non andarci perché c’è una trappola e fornisce la medesima fonte tanto sa che chi è disposto ad ascoltarlo, non legge i dati forniti dalla fonte.
Quindi, entrambi diciamo la verità solo che io conto sul desiderio di consapevolezza del mio interlocutore mentre lui conta sulla sua, ormai notissima, mancanza di voglia di leggere.
Dove è il mio più grosso sbaglio?
Sta nell’aver contrastato chi operava in mezzo a queste due metodologie che, nell’ultima epoca, è stato rappresentato da Renzi.
Risultato?
Ha vinto Salvini e, se con Renzi era difficile far passare il mio pensiero tra i miei concittadini ora, con Salvini, sarà impossibile, per molto tempo.
In pratica, mi fermo con l’auto, anche in assenza di strisce pedonali, per far passare i pedoni tanto, essendo motorizzato,  posso recuperare facilmente i secondi persi pur sapendo che oltre la metà di costoro, una volta in auto, col cazzo che si ferma in presenza di pedoni che vogliono attraversare la strada.
Evidentemente sono matto, ma prima o poi, quelli che si fermano, saranno di più, lo so, nonostante tutti i Salvini; se non fosse così, staremmo ancora a fregar sassi per accender fuochi, o no?


lunedì 11 giugno 2018

Salvini, aiutaci!


Siccome spesso le persone che si vedono derubate dei propri beni, ricorrono alle assicurazioni per avere i risarcimenti, penso che potremmo pagare meno i premi assicurativi se bloccassimo i denuncianti prima che entrino nelle caserme dei Carabinieri. 
Visto che le tariffe vengono determinate anche da accordi europei, l'Europa non ci deve lasciare soli in questa situazione.
Se qualcuno non è d'accordo rimborsasse lui i derubati soprattutto se sono derubati economici e non persone che si vedono privati di pasta e pane.
Salvini è bravissimo in queste cose ed è il Ministro degli Interni, quindi chiedo a lui di aiutarci a formare barriere nei pressi delle caserme per evitare di facilitare i ladri perché se uno viene rimborsato, riacquista quello che gli è stato rubato aiutando così i malviventi.

sabato 9 giugno 2018

Luis Enrique



Che vogliamo fare, andare a vedere anche due o tre generazioni precedenti per poter permettere a qualcuno di dire di essere italiano?
Purtroppo, anche in Italia, su questo argomento stiamo proprio indietro, io stesso, quando affermo di essere meridionale, mi vien detto: Si, si, vabbè!
Sono nato a Bolzano, fino ai quindici anni ho vissuto a Gravellona Toce e da 41, dico quarantuno, vivo a cavallo del Garigliano, confine geografico, GEOGRAFICO cazzarola, geografico, per definire l'inizio del meridione d'Italia e questo, nella realtà che descrive una perona, non è nulla, nulla, è una differenza che può servire a migliorare la gestione dei territori suddividendoli in porzioni più facilmente controllabili, ne più ne meno di come si dividono le cose in casa tra le varie scansie e mobili, niente più di come è importante dividere i chiodi di garofano da quelli da carpentiere quando entrambi sono ugualmente utili?
Io sono meridionale perché vivo nel sud d'Italia: vivo a nord del CONFINE, lavoro a sud del CONFINE.
Cazzo! Mi dite dov'è la differenza?
So scrivere in napoletano meglio di molti napoletani, perché quando ho dubbi consulto testi  o video che mi aiutino a capire come qualcosa si possa scrivere e perché, pur avendo una cadenza con evidenti fonetismi provenienti dal nord, perché amo la Lingua napoletana così come amo tutti i dialetti italiani.
Il mio maestro, Enzo Carro, 
Enzo Carro
produce anche brevi lezioni su youtube. (clicca qui per accedere)


Al nord sono un terrone, e mi sta bene; al sud sono un polentone, e mi sta bene; ma è proprio necessario far notare o esibire queste differenze; dove sarei migliore se considerato terrone dai terroni o polentone dai polentoni?
Perché ti vien da fare questi ragionamenti proprio ora? Verrà da domandare.
Perché notizie che raccontano ciò che è successo a Luis Enrique mi fanno venire il mal di stomaco, e peggio sto quando ne sento raccontate su chi non è considerato appartenete ad una determinata nazione. Si perché pur essendo Luis Enrique un italiano, ha dovuto subire ciò che subisce normalmente chi non è europeo e proviene da posti poco comodi  (uno statunitense, anche se malvivente, non subisce le stesse ingiustizie), perché?
Perché più scuro di carnagione (Calabresi e sardi state attenti se avete il naso un po' più schiacciato), quindi la Carta d'Identità non è stata sufficiente. Ma porca bubbazza,  'o vero facite? Anzi,'o vero facimm?
Non siamo nati in un determinato posto perché scritto nel dna o perché chi è nato prima di noi in quel posto era migliore di altri ma solo perché nessuno è morto prima di generare la possibilità di metterci al mondo, in pratica, per puro culo.
Qui potete leggere cosa gli è successo 


domenica 3 giugno 2018

17.000



Sono yemenita, ma la mia provenienza è importante solo se comparabile a quella di chiunque abbia dovuto emigrare perché il proprio paese non offre più la sicurezza dell'incolumità, ne per se ne per i propri cari.
Ho lasciato il mio Paese perché è stato dapprima, invaso da persone che hanno preso alla lettera e anche in modo figurato, il verbo invasare in secondo, luogo perché chi sta bombardando non lo fa per il nostro bene ma per il suo.
Avevo una bicicletta che, quando la trovai, era nuova e senza alcun danno; la vidi appoggiata ad un muro subito dopo che un bombardamento aveva buttato giù la casa della quale quel muro era parte. Mi misi seduto sul marciapiedi di fronte con i piedi a mollo in un rivolo d’acqua che proveniva da un punto non individuabile da dov’ero; qualche tubo aveva ricevuto lo stesso trattamento di ogni cosa del quartiere e rilasciava un’acqua pulita e fresca. Quell’acqua scorreva da poco, lo si intuiva dal rivolo che, proprio i  quegli attimi, via via s’allungava, ebbi l’impressione che qualcuno, dietro l’angolo, stesse vociando e benedicendo quell’acqua. Mi affaccio e alcune donne stavano scavando un fosso, immagino per infilarvi i contenitori pronti a raccogliere il prezioso liquido. Sono tornato a sedermi di fronte alla bicicletta in attesa di qualcosa che confermasse l’assenza di un padrone del veicolo avvistato. Mi addormentai svegliandomi con il richiamo, forte ma lontano, che invitava alla preghiera.
Nessuno aveva preso la bicicletta e, siccome è una cosa veramente preziosa, il fatto che nessuno si fosse avvicinato voleva semplicemente dire che, se ancora aveva un padrone, costui non aveva modo di venirla a prendere.
Per guadagnare qualche riyial, trasportavo qualsiasi cosa che potesse entrare nel carretto che avevo costruito, da un punto all’altro della città. Lo spingevo a braccia, senza meta, avanti e indietro finché qualcuno mi chiamava, una tanica o bidone doveva sempre cambiare di posto ed io ero lì per quello. Ci volle qualche giorno per trovare cosa mi servisse, ma la trovai, e nell’officina di un amico saldammo delle staffe al carretto per poterlo attaccare alla bicicletta.

Immaginate che, dopo tanto tempo, per caparbietà e speranza enorme, sono riuscito ugualmente a rimettere insieme un'abitazione e che alcuni miei compaesani fossero riusciti a fare lo stesso, ma non sapevamo dove collegare i tubi con i quali,  con tanta fatica, avevamo ripristinato gli impianti idraulici; la stessa cosa toccò agli impianti elettrici, ripristinati senza tante accortezze estetiche, non sapevamo come riempirli di corrente elettrica.
Non c’era acqua: quel rivolo fresco era da casa mia irraggiungibile con dei tubi. Corrente elettrica? nemmeno a parlarne; chi aveva attivato generatori a motore si guardava bene dal dare corrente ad altri, il carburante era di più difficile reperimento dell’acqua, una tanica d’acqua la potevi anche mettere in testa e trasportare ma se venivi avvistato con una bottiglia di benzina, ti sparavano a vista.
Immaginate che, quello che sono riuscito a ricostruire, è stato subito buttato per aria con altre bombe.
Vecchi compagni di scuola? Morti. Colleghi che come me portavano per la città i giornali con la bicicletta? Morti. Insegnanti dei miei figli? Morti.
Il bottegaio, quello che vendeva l’acqua a bicchieri, quello della pompa di benzina, la vecchietta alla quale mio figlio faceva dei servizi perché era amica della nonna, mio cugino impiegato al comune, il dottore che aveva fatto nascere mio figlio e mia figlia, mio padre e mia madre, mio fratello i miei tre cugini ed entrambi i loro genitori? Morti.
Già mezzo rotto, il mio cuore si finì di rompere con la morte di mia moglie e di mia figlia: un mezzo blindato le ha travolte dopo essere stato colpito da una bomba, senza controllo si abbattè su uno spigolo di muro dietro al quale si erano riparate.
Siamo rimasti mio figlio ed io che, con la bicicletta ora dotata di carretto, dormiamo e mangiamo là dove la fine della giornata ci coglie.
Mio figlio ha sedici anni ed è un bel pezzo di ragazzo, quindi, i soldati non devono vederlo. Più di una volta l’ho fatto coprire con i due pezzi del niqab e un lungo velo nero che ho sempre nel tascapane, se lo scoprono ci ammazzano entrambi, ma il se, non esiste per lui, se gli mettono un mitra a tracolla. Un giorno, dovevamo passare davanti ad un gruppo di ragazzi, senza divisa ma armati, quindi vestii mio figlio da donna e lo feci salire sul carretto dicendogli  di lamentarsi come se stesse male. Ci hanno guardato storto ma ci hanno fatto passare senza chiederci nulla.
Quel colpo di fortuna mi fece capire che, la bicicletta e la mia conosciuta attività mi avevano salvato ma anche che  tutta la buona sorte che mi spettava nella splendida Sana’a era esaurita e che il bel colore dei mattoni avrei dovuto andarlo a vedere da qualche altra parte.
I due anni successivi sono durati di più dei normali ventiquattro mesi. La bicicletta, senza carretto e quasi sempre condotta a mano per portare i pochi stracci e contenitori che ci erano rimasti, ci portò fin sulla sponda del mediterraneo e ora non mi serviva più; l’ho venduta per un pasto e per un posto per dormire, non un letto intendiamoci, un pezzo di marciapiedi sul quale poter stare senza che qualcuno mi cacciasse.
Sono arrivato in Italia con l’aiuto di un’organizzazione umanitaria, ho  trovato una casa e un lavoro in un ristorante. Servo ai tavoli per sette o otto ore, la sera arrivano alcuni giovani colleghi che lavorano per mantenersi agli studi ed io inforco la mia bicicletta italiana e consegno le pizze per altre due o tre ore. Non conto più per quanti  chilometri pedalo in un giorno, ma dopo quelli fatti su strade distrutte nella mia, nonostante tutto, bella città, pedalare sull’asfalto liscio, vi assicuro, è molto poco stancante. Intanto seguo l'iter che mi ha offerto la possibilità di essere considerato un rifugiato del quale ho assunto più forme: politico, di guerra, economico. Non importa, mi dico: fate voi.

Mio figlio, nel frattempo è cresciuto e va a scuola con buoni risultati ma non sta bene.
È escluso dalla possibilità di usufruire delle medesime opportunità dei suoi coetanei italiani e frequenta suoi connazionali che vivono i medesimi disagi.
‎Non riesco a seguire la sua quotidianità e alcuni dei suoi compagni non mi piacciono, sono violenti e arrabbiati.
‎Mi accorgo che anche lui è diventato violento e arrabbiato quando, una volta, urlando che ero un vigliacco, buttò la bicicletta che mi portavo fin sopra casa, al quinto piano, (manco a dirlo che nell’ascensore non ci entrava) dal balcone.
Qualche giorno dopo,dal balcone di casa ha buttato, sul mercato sottostante in quel momento attivo e frequentato, molti sassi; un po’ alla volta li aveva portati su e messi in camera sua nella quale mi era vietato entrare, non aveva nulla, quest’unica sua intima proprietà, la rispettavo in modo quasi sacro. Non molto grandi, ma tutti insieme e dal quinto piano hanno fatto parecchi danni e ferito molte persone. Dopo il trambusto prima di essere portato via mi gridò: Pà! I sassi sono una sola volta 17.000.
Non diedi peso a questa sua affermazione, su ben altri argomenti andò tutta la mia attenzione.
‎E' stato arrestato e io ho ricevuto l'obbligo di lasciare il paese: sono rimasto, ma se il disagio era forte già in situazioni ordinarie, adesso, l’intolleranza che mi avvolge è più tangibile di quei sassi.
Ora immaginate i titoli dei giornali e le vene del collo di leghisti e fascisti.

Faccio un accenno al luogo dove vivo senza scrivere il nome del paese; vivo in un posto dove 200 famiglie vivono con lo stipendio di chi lavora in una fabbrica dove un tempo producevano esplosivi per miniere, ora le miniere sono tutte chiuse in quanto non economicamente vantaggiose da sfruttare ed è stato acquistato per essere convertito alla produzione di bombe. Queste bombe vengono vendute ai governi e ai guerreggianti che occupano la medesima parte del mondo dalla quale provengo.
‎Ora immaginate queste bombe, vi dico che hanno un potere deflagrante e una capacità distruttiva enorme.
‎Immaginate queste bombe, queste centinaia di bombe che partono dal paese in cui vivo ora e che  permettono ai miei attuali compaesani di venire a mangiare nel ristorante che mi dà lavoro e che mi ha permesso di mandare mio figlio a scuola, e hanno permesso a me di comprare una bicicletta nuova fiammante.
La mia bicicletta ha la forza che io imprimo sui pedali e tecnologicamente non è all’avanguardia, non ha nemmeno il cambio, è robusta ma a confronto di quelle bombe, è poco più di un cucchiaio, in confronto ad un buldozer.
Immaginate me, un uomo di poco più di cinquant’anni che pedala su una bicicletta per portare pizze che consegna in cambio del denaro, anch’esso proveniente dagli stipendi degli operai della fabbrica, necessario a vivere e a pagare gli studi di un figlio che ora sta in galera.
Ora immaginate, ma immaginate davvero, un pilota che con la sua bella uniforme pressurizzata e con il casco nella quale visiera ha mirini e altre diavolerie direttamente davanti agli occhi, premere il bottone che rilascia le bombe prodotte nel paese in cui vivo per farle cadere sulle case della città dalla quale sono scappato.
Sana’a è nei miei occhi ogni volta che li chiudo ed è davanti all’ogiva di quelle bombe mentre cadono al suolo.
Quelle bombe, centinaia di bombe,  esplodendo, lanciano, ciascuna,  tutto attorno, schegge d’acciaio a velocità pazzesche, lanciano schegge in un numero veramente importante.
17.000.

(questa è la versione integrale, per partecipare
 al concorso il numero di battute doveva essere inferiore quindi l'ho modificato)


Il Bicicletterario - 2018



Anche quest’anno, nella nostra bella Minturno, si è svolta la parte finale del concorso letterario, dedicato alla bicicletta, “Il Bicicletterario”.
Centinaia di opere sono giunte da tutta Italia e molte dal mondo.
A festeggiare con noi minturnesi è venuta una numerosa quantità di persone e, molte di loro, nemmeno conoscevano il nostro paese e ne sono rimaste incantate.
Io e Silvy abbiamo scambiato tante parole con loro perché durante la manifestazione esponiamo e vendiamo prodotti artigianali realizzati da noi e questo diventa il pretesto affinchè si avvicinino e inizino simpatiche chiacchiere dagli accenti dialettali più diversi.

fotografia: Luca Gargiulo

Anche io ho partecipato con un racconto, essendo entrato nella lista dei primi trenta classificati, rosa dalla quale sono usciti i vincitori: mi hanno attribuito un riconoscimento del quale andrò fiero.
Il titolo è 17.000.
Una manifestazione nata dal cuore di persone che solo ed esclusivamente per amore delle biciclette è delle parole arrivata alla quarta edizione.  Un gruppo di volontari molto nutrito e affiatato lavora per mesi su tutti i fronti necessari, coordinati da Giovanni e Elena che non risparmiano energie fino a che non viene smontato tutto per, ricominciare, subito dopo ad organizzare il concorso del quale godremo i risultati l’anno succesivo.
“Il Bicicletterario” da  prestigio ai luoghi e alle persone in questo posto nel sud del Lazio, e ancora ha molto da dare perché l’impatto ecologico, più sostenibile da questo nostro pianeta, offerto dalla bicicletta e da coloro che la amano, sta sempre più crescendo.
 
Grazie a Michele Volpi 
che è stato con noi e che mi ha insegnato una cosa che non sapevo esistere: il suo modo di girare in Bicicletta, con un carrettino colmo di libri, per raccontare a grandi e piccini come è bello leggere. Non solamente nelle le parole ma anche nelle immagini, negli sguardi, nei gesti, di quando ci si accompagna ad un libro. Gira in bici per l’Italia, partendo da Perugia, con i suoi libri dopo le normali e quotidiane giornate di lavoro, Il Menestrello della parola illustrata e scritta. Lo incontreremo ancora, sicuramente, le connessioni che nascono con “Il Bicicletterario, sono per sempre.

Grazie a Giovanni, Elena, Daniela, Marianna, Pasquale, Luca, Anna, Giorgia, Stefano, Enzo che, ciascuno con il proprio impegno, ci regalano queste due splendide giornate.


sabato 19 maggio 2018

Mazzate! (ra cecati)


Andiamocene, qui i cani devono portare il guinzaglio.
Lo dice lei a lui mentre stanno portando un bulldog obeso quanto loro a passeggio dopo aver lasciato l’auto davanti all’ingresso della zona pedonale.
Siamo al molo di Scauri, già sappiamo che questo è solo l’inizio, della stagione estiva intendo; ancora non potevo immaginare cosa sarebbe successo.
Andando via, il cagnotto si avventa contro i gatti che formano la colonia del posto. La signora, anziana, che porta loro da mangiare gli grida di fermare il cane e che gli deve mettere il guinzaglio perché, ovviamente, il guinzaglio il cane non lo indossa, sta a mmare.
Il gentiluomo le urla contro parolacce affermando che la sua è un’intromissione in fatti che non la riguardano. Proprio così dice... ci credete? Vabbè! 

Parolacce, ovviamente, è un eufemismo; penso, tra l'altro che lui, della parola eufemismo con in se bello, abbia una dimestichezza minima.
Il simpatico tipo viene verso di noi camminando nell’aiuola continuando a dire parolacce alla signora, allora Silvana gli dice che la signora ha ragione; che il cane va portato con il guinzaglio proprio per evitare ciò che sta succedendo. Solo che lui il guinzaglio non lo mette al cane perché, evidentemente, non ha in animo di evitare che succeda ciò che sta succedendo ed inveisce anche contro Silvana.
A questo punto, io che non mi sto mai zitto gli dico che non è proprio il modo più adatto di rivolgersi a due donne, una anziana per giunta.
Vi dico quello che mi urla? No evito. 

Agita un pugno a fil di naso, il mio, quindi gli dico di calmarsi e che non mi deve aggredire.
Infatti lui parte con un pugno diretto al mio volto ma lo scanso e mi spinge.
A questo punto Silvana si mette in mezzo perché sa che sto soffrendo tremendamente a causa della schiena.
La moglie dell’energumeno che fa?
Spinge Silvana dicendole di non aggredire il marito.
Io metto il braccio in mezzo per cercare di evitare un’aggressione a Silvana.
Lui, urlando: Nun mette ‘e man ‘nguollo a muglierema! Mi sferra un cazzotto sul fianco destro e a me si piegano le gambe. Con le ginocchia, a peso morto, sbatto a terra secco. Il mal di schiena non mi permette una reazione veloce e lui comincia a prendermi a calci nel fianco e a darmi cazzotti in testa, inoltre, se vicino a me non c'è qualcosa a cui aggrapparmi, il rialzarmi diventa veramente un'operazione per la quale ci vorrebbe Manolo.
Solo una cosa riesco a fare, a trattenergli una gamba; non vedo Silvana e cerco di trattenerlo.
Non capivo che Silvana si era piegata su di me per proteggermi e si becca la sua dose di cazzotti.
All’ospedale di Minturno arriviamo intorno alle undici e mezza ma ci mandano a Formia dove arriviamo, in ambulanza, a mezzogiorno, ne usciamo, alle diciotto e trenta.
Risultato: ginocchia sbucciate; naso dolorante; escoriazioni sul volto, in vari punti; questo a me. Silvy? Un livido con le dita del tipo sul braccio destro e uno zigomo gonfio.
All’arrivo dei Carabinieri, chiamati da un buonuomo, Antonio (lo ringrazio) che assisteva al fatto, lui continuava a dirmi dolci parole che comprendevano il suo organo genitale e alcune parti del mio corpo e il fatto, che  venendo da Secondigliano, non era giusto essere trattato così.
Però, mi sono divertito, devo riprovare.
Ah! Dimenticavo, per cercare di guadagnare qualche attimo gli ho sfilato una scarpa e l’ho buttata a mare. Van Damme, mi fai un baffo! come butto le scarpe a mare io non lo fa nessuno.
Grazie a tutte le persone presenti che hanno compreso cosa stava succedendo e di volta in volta mi aiutavano, grazie ai ragazzi e alle ragazze de “Lo Scoglio” che ad un certo punto ho visto urlare al tipo alle mie spalle, per questo ho avuto l’impressione che mi stesse nuovamente venendo contro quindi, istintivamente, mi sono abbassato, invece, grazie a loro ha desistito. Grazie a Tobia, proprietario de “Lo Scoglio” che mi ha telefonato in ospedale per sapere come stavo.
P.S.: Ho scritto che il tipo è di Secondigliano solo perché è stata una sua affermazione, Silvana proviene dal quartiere adiacente, inoltre, Secondigliano, essendo il quartiere della persona che mi ha introdotto alle manificienze di Napoli (Gaetano) è, insieme a lui,  nei miei ricordi più belli di gioventù

martedì 30 gennaio 2018

Tinnitus



Pà!
Pà!
Pàà!
Pààà!
Ohi! Pà!
Ma non ci senti?
Sto guardando il telegiornale, sono concentrato, i "rumori" non mi permettono di sentire bene, quindi isolo anche la voce di Franco che mi sta chiamando.

Mi giro, mi rigiro, faccio fatica a prendere sonno.
Di solito faccio tardi guardando la televisione o leggendo.
Il sonno mi assale, spengo la luce e mi addormento, come al solito a fatica, a causa dei "rumori".
Quando la stanchezza è tanta a causa di una giornata lavorativa particolarmente intensa, vado a letto prima, ma il sonno tarda a venire, i soliti "rumori"superano la mia capacità di rilassamento.
Darìo e Annalisa mi hanno insegnato alcune tecniche di rilassamento, le scopro subito come qualcosa di interessante in quanto mi aiutano ad isolarmi dai "rumori".
Dopo un po' di esercizio, queste tecniche mi portano alla pratica della meditazione.
Meditando non annullo i "rumori" ma mi riconcilio con loro.

Ma che sono 'sti "rumori" che senti? Mi viene chiesto.
Dopo anni trascorsi pensando che questi "rumori" siano dentro la testa di chiunque, come fossero la normalità, un adeguamento che paragono al lento aumentare della miopia, la scarsa capacità di vedere lontano, fino a quando non ti penalizza troppo e la prendi nella giusta considerazione.
L'età, il peggiorare del problema, la semplice incapacità di continuare a tollerare i "rumori" mi porta, alcuni anni fa, a eseguire un'indagine su questo fenomeno.
Visita dal medico, dirottamento dall'otorino.
Diagnosi: acufene, tinnitus, chiamatelo come volete. E' il fenomeno che porta a percepire fischi e ronzii non provocati dal vibrare di alcunché fuori dalla tua testa, esistono solo all'interno delle orecchie di chi è affetto da questa disfunzione

Fiiiiiiiiiii!
- Mi fischiano le orecchie! qualcuno sta pensando a me.
Quante volte è successo, decine e decine, un fischio intenso pervade, ora l'orecchio destro, ora quello sinistro, magari solo per alcuni secondi.
Cerco spesso informazioni su internet, più conosco il mio nemico meglio riesco ad adeguarmi o a tollerare il suo continuo, costante, attacco.

Un'azienda produce CD sonori sui quali vengono registrati suoni che, conosciuta la giusta frequenza dell'acufene, lo contrastano e annullano.

WOWH!
Fammi vedere un po'...Clicco qua, clicco la, fino a...
"clicca qui per effettuare il test che ci aiuterà a riconoscere la frequenza del tuo acufene.
Che faccio?
Clicco! Un diagramma riporta una scala sulla quale sono posti pulsanti corrispondenti a varie frequenze misurate in hertz.
Provo il primo... niente.
Il secondo... niente
Provo ancora , clicco su 4000.
BANG! La vibrazione che esce dal computer entra in piena sintonia con il mio orecchio sinistro, solo che la "mia" è più intensa. Sposto più avanti il cursone del volume, più o meno 4/5 dell'intera scala.
Provo altri pulsanti, arrivo a 7000...
BANG! Ora è l'orecchio destro ad entrare in sintonia con le casse. Porto il volume a 3/4, ecco, è lui.
Quasi non credo alle mie orecchie, finalmente potrò far sentire ad altri ciò che percepisco da oltre vent'anni.
Fino ad oggi spiegavo quello che sentivo descrivendolo come fischio, ronzio, motore elettrico, addirittura come la sirena di ambulanze in lontananza, boh!
Silviiiii! Corri! Vieni a sentire.
Piango, il volto di Silvana è pieno di meraviglia.
Faccio sentire quello che esce dal computer a Franco e Marco, a Darìo e ad Annalisa, a mio fratello Marco.
Non ci crederete... ma la possibilità di rendere altri, partecipi di quello che pervade la mia testa, in ogni istante di veglia, risulta come un enorme dono. La stessa sensazione la paragonerei al riuscire a raccontare una tua esperienza ad una persona che non parla la tua lingua, in un posto dove nessuno
parla la tua lingua.

Ora, se vi va, provate ad utilizzare il seguente link:   
http://www.tinnitool.com/it/tinnitus_analyse/hoertest.php     
scegliete, prima 4000 e dopo 7000.

E' quello che io sento quando sembra che non vi do ascolto.

Se clicco sulle frequenze che non mi appartengono, mi risulta quasi impossibile
che qualcuno possa coesistere con certi suoni, soprattutto pensando che possono
"persistere" 24 ore su 24, eppure qualcuno c'è che ha altri "rumori".

Mi viene insegnato un  modo per ingannare il cervello per riuscire a dormire, consiste nell'ascoltare un CD sul quale è registrato il gorgogliare di una cascatella.
quando mi metto nel letto, accendo l'apparecchio e con il volume del suono al di sotto di quello del mio acufene, prendo sonno. le prime volte non è facile, è una presenza invasiva, poi, con il tempo, diventa piacevole e, finalmente, dormo.
Quando mi sveglio di notte, non sento più l'acufene con quel nervoso che non mi faceva più riprendere sonno, infatti, mi abbandono al famigliare gorgoglìo e mi riaddormento come non facevo da non ricordo quanto tempo.
E' piacevole anche per Silvana, ma l'usura del lettore, il silenzio della notte e l'abitudine alla cascatella, mi fa notare i rumori dell'apparecchio fino a diventare fastidiosi.
Non accendo più il lettore in attesa di comprarne uno nuovo.
Senza cascatella, mi accorgo di addormentarmi ugualmente e a riaddormentarmi senza che l'acufene mi faccia passare notti in bianco.
Non ho più riavviato questa pratica; le tecniche di rilassamento e il passare notti in modo riposante, mi riconcilia con quei rumori prima tanto odiati.
Lo sento ancora quel fetente ma, come non sento il contatto con i vestiti nonostante mi si strofinino addosso, non sento più il tinnitus, o meglio, così come sento i vestiti senza provare fastidio, così sento il tinnitus senza che mi mandi ai matti come un tempo.
Riprendo questo argomento pensando a Roberto, un ragazzo di Palermo che ha letto un mio articolo pubblicato nel 2009 sul sito Psicozoo. Anche lui soffre di questo disturbo e, trovandosi in un momento di particolare stress, gli riesce più difficile sopportarlo quindi comincia a cercare informazioni capitando su quello che scrissi.
Ci sentiamo al telefono e gli ripeto ciò che dico a chiunque mi trovi a parlarne, a meno che non si tratti di un acufene leggero e dall'innesco facilmente individuabile (esposizione a rumori e suoni particolarmente forti sono causa spesso di acufeni temporanei), qualcosa di completamente risolutivo non c'è e l'aspettativa di una soluzione indicata da terapisti ed "esperti" può diventare causa di stress e ansia che tutto fanno tranne che migliorare la situazione.
Il mio, mi sono accorto, proviene da tensioni al collo e ai muscoli sublinguali, a questa ipotesi mi ha condotto una Osteopata, e per questo la ringrazierò sempre;  non ha risolto la situazione durante sedute effettuate da lei, ma ha aiutato me a comprendere che, se questi muscoli venivano sottoposti a sue manipolazioni, l'acufene aumentava di intensità ed erano necessari alcuni giorni per tornare a quella che era, ormai, la normalità.
L'acufene, praticamente, è la percezione di suoni che non esistono e, se stiamo bene, lo accettiamo, quindi mettiamoci nella condizione di stare bene e il cercare di eliminarlo, non ci fa stare bene