mercoledì 24 ottobre 2012

Uno scatto all'orizzonte



Un triangolo nero spezza
la linea dell’orizzonte, lontana,
a braccio teso
la tengo ferma.
Uno scatto voglio fare
per fermare quel momento.
Scatto di mano che immobile deve restare,
un solo istante
perché non si muova l’immagine,
ferma dovrà rimanere
per sempre,
dovrà recare ricordi
di passi mossi sull’antico porto.
Il vento parla
attraverso un foro,
spinto dalle onde
a metri dal mare.
Lo conosco molto bene
ma ogni volta m’avvicino
e tendo l’orecchio.
Racconta viaggi
e storie di fondali
che ascolto con il naso
dal profumo che emana.

24 ottobre 2012

domenica 30 settembre 2012

Ecco che fine hanno fatto

                                                                                                                                     30 settembre 2012
Stamattina, con Giuseppe e Antonio siamo stati a raccogliere funghi, obiettivo: ovuli.

ancora nel canestro










 durante la pulizia 
 in padella dopo aver fatto soffriggere cipolla tritata, due spicchi d'aglio schiacciati, prezzemolo, pepe;
dopo l'appassimento aggiunto vino e fatto sfumare, aggiunto un bel cubettone di burro
 una parte dei funghi cotti messi a letto in una terrina
La ciotola in alto a destra contiene ovuli crudi in insalata, finiti in un batter di ciglia.
Quelli affettati sullo strofinaccio stanno seccando, pronti per la prossima padellata
 sui quali ho fatto colare polenta appena preparata; coperta di parmigiano grattugiato 
 con l'aggiunta del resto dei funghi, il tutto nel forno caldo per un quarto d'ora circa.
Buon appetito, a noi ovviamente.
Vino di Alessandra, buonissimo.

sabato 22 settembre 2012

TRA GLI OCCHI DELLE PERSONE



 

Tra gli occhi delle persone

vi sono fessure

sulle quali,

distrattamente,

faccio correre un dito.

Questo mi permetto

passeggiando sui miei pensieri,

cercando di scoprire

fino a dove arriverò.

Fessure molto strette

ma profonde…

e lunghe…

Impossibile allungarle.

Difficile colmarle.

Percorrerle tutte?


LA FOGLIA




AQUILONE




La voce,
di ricci capelli,
un aquilone
disegna nell'aria,
la coda,
scorge dall'alto,
stria la polvere posata
sui propri
antichi mosaici.

CARPE DIEM




Secondi a migliaia
di fune per secchi
raccolgono momenti
dal pozzo del tempo.
Goccia di sudore,
il batter di ciglia
dura un istante,
fa chiudere gli occhi e...
perdi il momento.

MI CONVINCERA’?



Un perno gira
Dentro alla testa,
sua è la mira
di agganciarlo alla festa,
la festa è una pira
che arde sue gesta.
La mano che vira
Una nave in tempesta
Guardando, ciel sereno ammira,
giungervi vuol,
senz’esser mesta.

QUANTO PESA L’ARCOBALENO?



Ha il peso dell'abbraccio
di ogni essere umano.
Ha il peso di un figlio
che s'addormenta sul divano
mentre lo porto nella culla
come zaino sulle spalle.
Ha il peso di baci e mani
di colei che amo.

Due matti

http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/zen/rrb1.pdf
LA FILIERA NUCLEARE
Tutti i veri costi del nucleare
Il nucleare come soluzione al riscaldamento terrestre indotto dalle attività umane?
Il nucleare come energia pulita?
Il nucleare come approvvigionamento energetico moderno e facilmente disponibile?
Il nucleare come approvvigionamento energetico a costi moderati?
Il nucleare senza ormai segreti per l’umanità?
Menzogne enormi dette senza argomentare nemmeno una delle componenti la filiera, anzi una sola viene argomentata: il grande vantaggio dato dalla tanta energia prodotta con quantità minime di carburante.
Come dato è reale ma è come se per determinare il prezzo del latte, nel computo, inserissi solamente l’atto della mungitura della mucca, senza calcolare l’allevamento del vitello; la produzione dei foraggi; le cure mediche; la costruzione delle stalle; il mantenimento dei pascoli; la pulizia degli animali e degli ambienti preposti ad ospitarli; lo smaltimento del letame e dell’urina; lo smaltimento delle carcasse e del sangue a macello avvenuto, dopo che l’animale non è più produttivamente vantaggioso e, inoltre, l’allevamento degli animali maschi che pur non producendo latte, sono di tanto in tanto, indispensabili e, per di più, nascono anche loro e anche loro vivono e muoiono.
Per funzionare, una centrale elettrica nucleare, necessita di carburante e questo è l’uranio, arricchito o no, non è che si trova in vene di roccia come per il marmo di Carrara o per il granito di Candoglia, ma è presente in piccole tracce in pietre che devono essere sgretolate, producendo scarti che comunque sono radioattivi e grande consumo di energie generate da combustibili fossili che, guarda caso, essendo lavorazioni effettuate in paesi in credito per quanto riguarda la produzione di co2, abbattono le quote di co2 dei paesi proprietari delle aziende estrattrici.
Un escamotage per rendere meno costoso lo smaltimento di questi scarti è stato quello di renderli legalmente materiali inerti; ovviamente è una presa in giro più che conosciuta dagli addetti ai lavori che però non coinvolge più di tanto l’opinione pubblica proprio a causa delle menzogne diffuse sulla loro vera natura. Quasi sempre questi materiali sono estratti laddove governi corrotti ben si prestano a questo gioco, in quanto facili e grandi guadagni vengono distribuiti ad un ristretto numero di persone nella valuta del luogo per giunta, non certamente alla popolazione che invece ne trae solo gli svantaggi dati dall’inquinamento dei terreni e delle acque dietro il quale, tra l’altro, si cela una delle più grandi motivazioni che portano alla fuga da luoghi che già sono colmi di problematiche quali ad esempio la desertificazione.
Motivazioni che portano le persone più giovani e forti a fuggire dal proprio paese che, per meglio sopravvivere, proprio di loro avrebbe bisogno, andando a rimpinzare le tasche dei moderni schiavisti che, rubandogli i pochi soldi che riescono a racimolare con grande sacrificio di tutta la famiglia li lasciano morire durante gli spostamenti nel deserto o facendoli annegare nel Mediterraneo.
Sto parlando solo dell’estrazione del pechblenda nel nord del Niger; ovviamente tutti questi costi, umani ed economici ci si guarda bene dal diffonderli e, quando nonostante tutto, emergono, li si minimizza o li si considera la giusta ammenda per tutti i benefici che portano, a noi. Prima di diventare carburante, l’uranio deve subire altri processi che vengono effettuati nei paesi proprietari della materia prima, lavorarlo sul posto permetterebbe alla nazione ospitante gli impianti di estrazione, di appropriarsi di una tecnologia che deve invece rimanere appalto delle grandi potenze, infatti, dalla scoperta del potere racchiuso nell’atomo, proprio le nazioni detentrici di questa tecnologia le fa annoverare tra le più potenti al mondo e si guardano bene dal permetterne la diffusione.
La Francia, dall’inizio del viaggio nel nucleare, in questo settore si è scavata una propria nicchia, restando per molti anni una delle tre nazioni con capacità autonome di gestirlo insieme all’ex Unione Sovietica e agli USA.
La Francia, per molti anni, ha nascosto la vera natura degli scarti generati con l’arricchimento dell’uranio, facendo credere ai francesi che si trattava di normali sassi tanto che li distribuiva anche gratuitamente a chi ne facesse richiesta per impiegarlo in riempimenti e livellamenti di terreni, propedeutici anche alla fabbricazione di stabili pubblici quali abitazioni o stadi, o per la realizzazione di piazzali per parcheggi, fino a giungere ad accumularli in discariche che una volta colme, vengono esteriormente bonificate e portate a diventare spazio verde sul quale si invitavano le famiglie a passare il proprio tempo libero attirandole con infrastrutture accattivanti quali passeggiate, tavoli, panche e barbeque.
Però, essendo questi materiali comunque radioattivi, per quanto di bassa attività, dopo anni e anni di queste pratiche, stanno sortendo i risultati negativi dati dall’accumulo di tali sostanze nell’organismo delle persone che vivono nelle vicinanze di questi luoghi. E’ vivo oggi in Francia, un movimento di persone che chiede a viva voce che: vengano chiariti i danni potenziali dati da questi materiali; vengano comunicate la vera natura dei materiali depositati nelle discariche; vengano dichiarati luoghi non agibili; vengano dichiarati luoghi a rischio e recintati per evitare che vi si possa accedere liberamente.
Tutto ciò senza nemmeno essere giunti alla produzione di energia e senza ancora aver costruito la centrale con tutte le implicazioni date dai moderni target di sicurezza ai quali bisogna attenersi con gli enormi costi che ciò comporta e senza prendere in considerazione lo smaltimento dei materiali di risulta di bassa, alta e altissima radioattività derivanti dalla produzione di elettricità. Perché se è vero che la maggior parte del materiale che viene a contatto con la filiera di produzione di energia, come attrezzature che magari sono solo potenzialmente a rischio e sono comunque da trattare con metodologie atte a togliere ogni rischio, ci sono materiali con una emività radioattiva di alcune centinaia di anni quali i materiali e i liquidi di moderazione o parti degli impianti, ci sono inoltre i residui del carburante, questo si di quantità ridotta rispetto a quella descritta sin qui, ma che prima di tornare allo stato radioattivo misurato all’atto dell’estrazione dalla miniera, necessita di centinaia di migliaia di anni.
Stanno provando a costruire depositi che forniscano la sicurezza richiesta, fallendo immancabilmente nell’intento, infatti non esiste ad oggi un deposito considerato definitivo nonostante ne abbiano già riempiti alcuni, teniamo presente che alcuni di questi depositi sono stati bloccati e uno in Germania sta all’interno di un progetto mai nemmeno preso in considerazione, di svuotamento per sopravvenute condizioni di altissimo rischio dato dal cedimento di strutture
considerate all’inizio eterne che invece si sono rivelate non più praticabili con il duplice problema di smaltire il materiale già li depositato e di bonifica del sito prima che i danni rilevati migrino verso le falde acquifere, essendo i siti colmi ormai di acque radioattive che per ora vengono concentrate pompandole nelle sezioni più profonde di quella che era una dismessa miniera di salgemma. Tale miniera era considerata sicura proprio per la sua natura, in quanto i contenitori di sostanze radioattive necessitano di luoghi asciutti che si pensava garantiti da una miniera di sale, però non si era probabilmente presa in considerazione l’intrusione dell’uomo nel sito con infrastrutture che hanno un peso sicuramente superiore a quello che era dato in origine dal salgemma stesso e nemmeno era stato considerato l’impatto delle vibrazioni date dalla fabbricazione del manufatto e dall’azione dello stoccaggio che avviene in modo automatizzato.
E’ stata presa in considerazione la stabilità politica del paese ospitante il deposito, prendendo come dato che il governo più antico sulla terra, data solo alcune centinaia di anni mentre la gestione di tali depositi deve essere garantita per migliaia di generazioni di esseri umani che stramaledirà in eterno questa nostra attuale attività criminale nei confronti del nostro pianeta?
No, non è stata presa in considerazione, o meglio, chi gestisce tutto questo adduce come scusante che negli anni a venire l’uomo riuscirà sicuramente a gestire tutto questo, nel frattempo avremo energia a disposizione per autodistruggerci con le modalità che più ci garbano togliendo risorse economiche all’attuazione di modalità di consumo energetico più compatibili con il nostro pianeta e deviando risorse economiche verso l’accentramento di produzione di energia invece che verso l’autoproduzione di piccole quantità di energia, fatto che già si sta verificando con modalità di gran lunga meno costose di pochi anni fa, ma che tolgono potere a chi vuole speculare e a chi vuole detenere il potere dato dalla produzione il larga scala di energia.
Paese
Reattori in funzione
Reattori in costruzione
Percentuale dell'energia nucleare prodotta nel 1999 rispetto al totale
Argentina
2
1
9.04
Armenia
1
0
36.36
Belgio
7
0
57.74
Brasile
1
1
1.12
Bulgaria
6
0
47.12
Canada
14
0
12.44
Cina
3
7
1.15
Corea del Sud
16
4
42.84
Finlandia
4
0
33.05
Francia
59
0
75
Germania
19
0
31.21
Giappone
53
4
36
India
11
3
2.65
Iran
0
2
0
Lituania
2
0
73.11
Messico
2
0
5.21
Paesi Bassi
1
0
4.02
Pakistan
1
1
0.12
Regno Unito
35
0
28.87
Repubblica Ceca
4
2
20.77
Romania
1
1
10.69
Russia
29
3
14.41
Slovacchia
6
2
47.02
Slovenia
1
0
37.18
Spagna
9
0
30.99
Sud Africa
2
0
7.08
Svezia
11
0
46.8
Svizzera
5
0
36.03
Ucraina
14
4
43.77
Ungheria
4
0
38.3
Usa
104
0
19.8
Fonte: Agenzia internazionale per l'energia atomica
La diminuizione drastica di costruzione di centrali nucleari verificatasi negli ultimi anni fa ben comprendere quanto non si sia veramente orientati verso questa forma di produzione di elettricità, considerando inoltre che le popolazioni ospitanti gli impianti vanno via via meglio informandosi sui reali rischi e sulla lunga vita di questi.
Cercherò qui di elencare tutto quello che deve realmente entrare nel computo dei costi considerando una consapevolezza reale delle persone coinvolte, considerando anche che nessuno nasconda alcunché e che invece di spendere pochi soldi per corrompere, si spendano quelli giusti per fare le cose per bene.
Costi per l’estrazione dell’uranio (compresi i costi di reale messa in sicurezza degli impianti e del personale operante): impianti di estrazione dalla cava; impianti di estrazione dell’u235 dalla roccia grezza; smaltimento in sicurezza dei materiali di scarto; smaltimento delle parti degli impianti sostituite per usura; smantellamento degli impianti a fine ciclo estrazione; bonifica di tutti i luoghi coinvolti nell’estrazione; bonifica di tutto ciò che viene coinvolto dagli inevitabili incidenti che normalmente intervengono in qualsiasi attività industriale ma che nel caso in questione necessità di pratiche particolarmente costose; costi sanitari dovuti a danni alle popolazioni e all’ambiente circostanti gli impianti; trasporto dei materiali presso i siti di arricchimento; elevatissimi premi assicurativi;
Costi per l’arricchimento dell’uranio (compresi i costi di reale messa in sicurezza degli impianti e del personale operante): costruzione degli impianti per l’arricchimento; messa in sicurezza degli impianti dal rischio di attacco terroristico; messa in sicurezza dal rischio errore umano con corsi di preparazione aggiornati alle ultimissime conoscenze; smaltimento degli scarti risultanti da tale attività; bonifica di tutto ciò che viene coinvolto dagli inevitabili incidenti che normalmente intervengono in qualsiasi attività industriale ma che nel caso in questione necessità di pratiche particolarmente costose; costi sanitari dovuti a danni alle popolazioni e all’ambiente circostanti gli impianti; smantellamento degli impianti a causa della programmata obsolescenza degli stessi; bonifica del sito che ha ospitato gli impianti; elevatissimi premi assicurativi.
Costi per la centrale produttrice di energia: costruzione dell’impianto; messa in sicurezza degli impianti dal rischio di attacco terroristico; messa in sicurezza dal rischio errore umano con corsi di preparazione aggiornati alle ultimissime conoscenze; sufficiente disponibilità di acqua quale moderatrice del continuo elevarsi della temperatura del nocciolo considerando che l’elevarsi della temperatura terrestre, nei prossimi anni diminuirà la portata d’acqua di fiumi e laghi; nel caso di captazione di acqua marina, bisogna considerare i costi degli additivi antiossidanti che nel caso di acqua salata, devono essere usati in grande quantità con l’aggiunta dei costi di filtraggio e smaltimento dei fanghi residui e dei filtri stessi; costi ambientali dovuti all’inevitabile innalzamento della temperatura dell’acqua durante la fase di restituzione della stessa nell’ambiente con le inevitabili implicazioni di ciò a carico dell’ecosistema; smaltimento di tutto quello che non più utile alla produzione di energia , deve essere stoccato con le modalità precise per ogni categoria dei materiali; smaltimento dei fanghi risultanti dalle varie attività di filtraggio; smaltimento dei filtri; smantellamento degli impianti a causa della programmata obsolescenza degli stessi; bonifica del sito che ha ospitato gli impianti; bonifica di tutto ciò che viene coinvolto dagli inevitabili incidenti che normalmente intervengono in qualsiasi attività industriale ma che nel caso in questione necessità di pratiche particolarmente costose; costi sanitari dovuti a danni alle popolazioni e all’ambiente circostanti gli impianti; elevatissimi premi assicurativi.
Costi per le generazioni future: smaltimento di tutto quello che stiamo generando; smantellamento degli impianti; costi sanitari dovuti a danni alle popolazioni e all’ambiente circostanti gli impianti; elevatissimi premi assicurativi; costi psicologici dati dallo spreco di energie che i futuri abitanti della Terra utilizzeranno per maledire noi.

LA SEDIA A DONDOLO
by maxtraetto (17/05/2006 - 13:39)
Dondola una sedia sotto ad una veranda.

Sopra c'è un vecchio che fa cavalluccio ad un bimbo.

Una sedia a dondolo felice.

Sopra c'è una vecchia che fa la maglia, non ci vede e lavora a memoria.

Una sedia a dondolo felice.

Sopra c'è un bimbo con il dorso sul sedile e le gambe in verticale sullo schienale.

Una sedia a dondolo felice.

Sopra c'è un uomo con le mani piagate dal lavoro e con la schiena spezzata dalla fatica:

- Vieni la cena è pronta!

Una sedia a dondolo felice.

Sopra c'è una donna che di corsa ha preparato le colazioni e saluta i figli che vanno a scuola.

Una sedia a dondolo felice.

Sopra c'è un tipo che dice al vecchio, alla vecchia, al bimbo, alla donna e all'uomo cosa devono fare.

Una sedia a dondolo.

VIAGGIO

VIAGGIO
by maxtraetto (13/05/2006 - 19:28)
E' da un po' che prendo la rincorsa per entrare dentro di me.
Vedo il mio petto, come un cerchio di bambini vedrebbe il coperchio, ancora sporco, di una scatola appena disotterata.
Chi la apre?
Chissà che c'è dentro? Non tocchiamola, potrebbe essere pericoloso!
Rimettiamola dov'era! Guarda! E' già un po' aperta.
Croste di ruggine rendono difficoltoso osservarne l'interno, come certe inibizioni non permettono il dischiudersi del cuore.
Corro verso me stesso ma la cortina del mio costato, come la ruggine, non permette l'osservazione del mio dentro. Devo cercare un altro ingresso.
Dalla testa escono vapori colorati. Da dove passano? da lì posso entrare. Sicuramente, ma che vedo? Desideri, voglia di fare cose che vanno oltre l'istinto di sopravvivere.
Questo è il mio dentro? La voglia di sopravvivere non mi basta.
Ripercorro il sentiero degli impegni presi.
Domani troverò il tempo di ripercorrerlo e di riaffacciarmi dal crinale che mi permette di vedere oltre alla collina.
E' da lassù che prendo sempre la rincorsa.
Strada facendo, però' lo sbattere dei talloni a terra, mi riporta al concreto. Al materiale. Al quotidiano.
Ho sonno.

giovedì 23 agosto 2012

LINOTYPE


giovedì, 23 agosto 2012


C’è stato un tempo in cui ho messo, nero su bianco, pensieri più o meno, solamente miei.

Poesie ho scritto, alcune mi piacciono, altre no; alcune mi assomigliano altre nemmeno mi sembra d’averle scritte io (però mi piacciono).
Ho scritto anche un racconto simpatico e boiate pazzesche; commenti a gogò articoli e interventi d’ogni sorta.


Ho cominciat o  a pensare di mettere insieme tutto quello che ho scritto e mi sono arrabbiato con me stesso, perché?
Perché mi ha sempre dato fastidio il lavoro di quei cantanti che, non avendo nulla di nuovo da dare, rieditano ciò che già hanno fatto, così, tanto per riempire vuoti dolorosi.
Abbandono, quindi, l’idea della miscellanea e apro una nuova pagina al compute r  per vedere se ci cadono sopra lettere e punteggiatura.
Forse il problema sta nel fatto che ho sempre scritto nel letto. All’improvviso un pensiero vibrava fra le dita in cerca di una matita disposta a sciogliersi nel suo grigio filo, allora dicevo a Silvana di girarsi perché avrei acceso la luce, erano idee così luminose che le avrei comunque potu to  disturbare il sonno.
I pensieri sono un vento che gonfia le invisibili vele di tutte le matite, più i pensieri sono intensi, più le matite navigano sui fogli.
Come il vento non serve a far girare i motori delle navi, così i pensieri non spingono i tasti, o almeno così mi sembrava, allora eccomi a premere quadratini neri e mi tornano in mente le ore alla linotype.
Un computer scrive quello che gli dico ma non riesco a capire come faccia.
Diversamente era per la linotype, ne conoscevo ogni singolo componente e la sua funzione. Era necessaria una periodica pulizia e revisione per poter lavorare velocemente, soprattutto per quanto riguarda le matrici e tutti i punti della macchina dove queste facevano il loro continuo tour; era normale che si sporcassero continuamente di residui di fusione e di lubrificanti e che lasciassero ques ta  sporcizia lungo i camminamenti che erano costrette a percorrere.
La linotype non scriveva nero su bianco, per fare ciò era necessaria la fa se  successiva: come per la tastiera, bisognava stampare, però, mentre al computer si visualizza quello che si stamperà, con l’aggiunta virtuale di rosse sottolineature che dovrebbero indicare un errore o un refuso, la compositrice meccanica con un secco ”tac”, faceva cadere una caldissima e lucida riga di piombo con impressi pensieri a specchio. Eggià! si sarebbero raddrizzati stampando. Ci si abitua talmente tanto a vedere i propri pensieri al contrario che non si distinguono più da quelli diritti e, probabilmente, trenta e più anni passati in un mondo di parole a specchio, mi hanno fatto diventare quello che sono. E’ vero, anche senza tutte quelle parole a rovescio sarei diventato quello che sarei diventato, resta il fatto che ho fatto parte di quei pochi che leggevano tutto storto, anche quello che era diritto e, comunque, anche tra costoro, ci sono persone diritte e persone storte, con le medesime percentuali del mondo che legge e scrive diritto, ma tant’è.


etaoin etaoin etaoin etaoin etaoin
In verticale, i primi sei dei novantuno tasti della linotype, che molto semplicemente, erano allineati sei per quindici (più uno fuori tastiera per gli spazi mobili), erano appunto quelli delle lettere e, t, a, i, o e n ( la e prima della enne è semplicemente una congiunzione).
Facendo scorrere il dito su questi tasti, si producevano linee di prova dopo una sistemazione della macchina oppure per vedere se il piombo era fuso alla temperatura più adatta alla produzione delle righe per la stampa; troppo freddo e le facce delle lettere presentavano delle grinze; troppo caldo e potevano essere bucherellate se non addirittura mancanti di intere parti.












La lunghezza delle righe la si poteva determinare cambiando le dimensioni delle” moulde”, entro le quali si stringevano delle barrette d’acciaio che, praticamente, chiudevano sulla lunghezza, gli stampi di fusione. La “moulde” determinava lo spessore.

L’indispensabile terza dimensione, l’altezza, era la mia vita, o almeno, una parte della terza dimensione essendo questa formata da un sopra e da un sotto, entrambi importanti, ovviamente, ma, il sopra, riportava le lettere, quindi, il motivo stesso di tutta la macchina.
Il sotto veniva rettificato in automatico dalla macchina facendo girare la ruota sulla quale erano inserite le moulde, su lame d’acciaio radenti posteriormente.
Il sopra, il meraviglioso mondo delle lettere, lo determinavo io, o meglio, l’aspetto del sopra, lo determinavo io.
Una serie di eccentrici di ottone, uno per tasto, era allineata su due file parallele. L’eccentrico era montato su un piccolo asse che permetteva il suo girare trattenuto in un telaio che poggiava le sue due estremità, una su un punto fisso, l’altra su un dentino che premendo il tasto a lui dedicato, scendeva un po’, quel tanto che bastava a fare in modo che la rotella eccentrica toccasse un rullo gommato il quale cominciava a girare nel momento stesso che la macchina veniva avviata.
Come la rotella eccentrica toccava il rullo, faceva un intero giro su se stessa e la gobba più sporgente dava un colpo ad una bacchetta verticale.
Sopra la macchina veniva agganciata una cassa il cui interno era suddiviso, sulla lunghezza, da tante corsie quante erano le lettere che vi andavano inserite, di conseguenza una per tasto, quindi una per eccentrico, da qui una per ogni bacchetta verticale, quelle sollecitate dal ruotare dell’eccentrico.

Le lettere erano impresse in matrici di ottone, generalmente due, una sopra l’altra, una tonda e una corsiva oppure una chiara e una neretto, queste matrici, inserite di taglio nelle corsie della cassa, avevano una piccola sporgenza che si incastrava nella parte finale della cassa dove due pistoncini si muovevano alternatamene ogni volta che si premeva il tasto corrispondente, uno liberava la matrice richiesta mentre l’altro bloccava la seguente per tornare subito dopo nella posizione originale.
La matrice liberata correva in un condotto che la portava nel compositoio, una parte mobile nella macchina che allineava tutte le matrici e gli spazi “conici”, così chiamati perché si trattava di barrette d’acciaio più strette nella sommità e più spesse nella parte inferiore.

Una volta allineate tutte le matrici nella giustezza predeterminata, il compositoio si elevava abbassando una leva a destra della tastiera, questo portava la riga in un carrello che con una molla veniva proiettato in una morsa nella quale veniva liberata la riga, per tornare lentamente indietro pronto ad accoglierne un’altra.
La riga, a questo punto, era formata da matrici e spazi mobili, ancora non serrati tra loro, qui entravano in ballo gli spazi conici, infatti questi utilissimi attrezzi venivano martellati da sotto, con una barra che li colpiva due volte, fino a che tutte le matrici, e i margini, venivano a trovarsi stretti nel compositoio quel tanto che era necessario a non far passare il piombo fuso che nella fase successiva andava riempiendo la moulde.
Ora, avveniva un altro miracolo meccanico; un braccio scendeva e sulla sua estremità venivano fatte scorrere tutte le matrici mentre gli spazi cadevano in un apposito distributore che pure era comandato da un tasto; il braccio si sollevava e un’altra bacchetta spingeva le matrici su un binario mentre tre viti senza fine trasportavano le matrici all’imboccatura delle corsie della cassa, quindi ogni matrice, come si trovava in corrispondenza della propria, si liberava dal binario e si andava a posizionare al suo posto, pronta per un nuovo utilizzo.
Ogni matrice, infatti, era come una chiave, ognuna diversa dall’altra e solo in corrispondenza della propria “serratura” si poteva liberare e cadere.
Se si pensa che tutte queste funzioni, centinaia di movimenti meccanici, venivano attivate da un singolo motore elettrico che faceva ruotare un singolo asse sul quale erano montate decine di ruote eccentriche, ognuna delle quali agiva su decine di altri movimenti, mentre oggi una macchina analoga avrebbe, a dir poco dieci motori, si capisce il perché del progredire dell’elettronica, necessaria anzi, indispensabile, per sincronizzare i motori tra loro.
Quanto tempo per cercare di descrivere la produzione di ogni riga, eppure, ciò avveniva alla medesima velocità alla quale si muoveva un dattilografo.

Il suono prodotto dalla macchina è ancora presente nella mia testa, parlo di suono in quanto, per quanto si trattasse del rumore di una macchina, corrispondeva al tic tac di un orologio; come si può chiamare rumore quello che sentiamo uscire dalla macchina del tempo?
Ogni tanto ci si doveva alzare per riempire il crogiuolo nel quale fondeva il piombo e con un colino si puliva dalle scorie la superficie del metallo fuso, come fa il pastore quando separa la cagliata dal caglio nel produrre il formaggio.
Fortunatamente ho partecipato a quest’arte dopo che la lega necessaria a produrre le righe era stata resa meno tossica da quella utilizzata dai miei predecessori che, guarda caso, aveva tra i suoi rappresentanti, il mio bisnonno, di cui non ricordo il nome, padre della mia nonna materna. Quest’uomo, infatti, lavorava ad una macchina analoga alla linotyope, la monotype; come si evince dal nome, invece di formare intere righe pronte per la stampa, fondeva e allineava le singole lettere.
Ha fatto questo lavoro anche come prigioniero dei tedeschi durante la seconda guerra mondiale per il giornale “L’Adige”, mi è stato riportato che, non solo venivano utilizzate delle leghe di piombo molto contaminanti, ma, come se non bastasse, lavorava in ambienti malsani e malamente arieggiati, ambienti, tra l’altro, nei quali venivano ospitate, come per le linotype, decine di macchine, aumentando così notevolmente, la possibilità di contaminazione da piombo.
Il piombo, oltre a dare il pane a noi tipografi, per anni ha fatto morire di saturnismo, molti operatori di questa meravigliosa arte ormai persa tra i meandri dei bit.
Il bisnonno, infatti, dopo aver passato gli ultimi suoi anni praticamente dormendo, muore con il sangue appesantito dal metallo di saturno, di lui nulla so più ma a lui e tutti i linotipisti, dedico queste righe.
Dopo aver scritto ciò che avete letto, sono andato alla ricerca di immagini per aiutare la comprensione di quello che andavo raccontando, ne avrei ricavato dei link per condurre i lettori a spiegazioni ulteriori e magari anche più tecniche, dopo aver scoperto che nel gennaio 2012 è uscito, negli USA, un film sulla linotype di cui indico il trailer: “Linotype the Film” http://www.youtube.com/watch?v=CUKCUMkLuaA.
Cercando ulteriormente ho trovato un video educativo nel quale si vede tutto quello che ho scritto e anche molto di più: Typesetting: Linotype - 1960 Educational FIlm
Prima la composizione la effettuavo manualmente, ma questa è tutta un’altra storia.
Poche ore e tantissime emozioni che spero di essere riuscito a trasmettere.
E' stata scritta anche una canzone, Alex Parravano ne è l'autore:

(bozza in attesa di correzione, a volte quando qualcosa viene pubblicato qui, si trasforma completamente, vedremo)