lunedì 29 agosto 2016

A proposito di lavori benfattamenteinutili



 Già queste terrazze non le sopporto, in quanto circa 20000 (ventimila)  metri quadrati di marciapiedi costituiscono un belvedere più che sufficiente, soprattutto se si prende in considerazione che si sviluppano in 4 chilometri di lungomare.
quando osservo, poi, che stanno per essere ultimati con le modalità che si possono facilmente riscontrare in queste fotografie, girano veramente i coglioni.
Una finitura angolare, sul bordo di uno scalino, come quello che si vede qui sopra, io non lo metterei nemmeno in casa mia, figuriamoci in un luogo pubblico, inoltre, non l'avevi un angolare intero da posizionare al posto di spezzoni?
Spero, inoltre, che quelle viti sporgenti siano dovute al fatto che l'avvitatore senza fili ha esaurito la batteria.
E' vero, i lavori non sono ultimati, tantevvero che il cantiere è ancora recintato, ma se non è ultimato che cavolo ce li hai messi a fare quegli angolari?

 Non avevi un cazzo di bordino di una ventina di cm. intero da mettere al fianco dell'alzata?
 Ma chi l'ha fatto questo lavoro, uno che ha letto istruzioni Ikea al contrario sotto tortura?
Gnàfaccio a vedere 'ste cose, e voi?

All'anagrafe


- Buongiorno, mi scusi signor impiegato dell'anagrafe comunale, ho da poco richiesto il cambio di residenza da Minturno a Scauri. Volevo sapere se tutto è a posto.

- Cognome?


- Penitenti.


Il signor impiegato dell'anagrafe comunale consulta l'elettrodomestico (come dice l'amico Pasquale).


- Si, tutto a posto. Risponde il signor impiegato dell'anagrafe comunale 


- Mi scusi signor impiegato dell'anagrafe comunale, sono venuto anche per chiedere se per fare il passaporto e necessario un certificato di residenza o è sufficiente la carta d'identità nonostante riporti l'indirizzo dell'abitazione dove abitavo precedentemente?

- Lo dice la parola stessa: identità. Risponde il signor impiegato dell'anagrafe comunale. Quindi, la sua identità, è specificata nella carta d'identità.


Riflessione: 
Il sarcasmo da lei adottato, signor impiegato dell'anagrafe comunale, mette in risalto una sua inenarrabile superiorità culturale ed intellettiva quindi, caro signor impiegato dell'anagrafe comunale, perché si accanisce su di me che, essendo un semplice e meschino cittadino potrei restarci un tantino male? 
E poi, questa sua inenarrabile superiorità culturale e intellettiva le ha permesso di occupare il posto e l'importante ruolo di signor impiegato dell'anagrafe comunale. Se avessi avuto io questa inenarrabile superiorità culturale e intellettuale, forse, ribadisco, forse, il ruolo di signor impiegato dell'anagrafe comunale, l'avrei ricoperto io.
Ma sono un semplice tipografo, quindi, mi scusi, signor impiegato dell'anagrafe comunale.

giovedì 4 agosto 2016

Lettere mute; non più




Per tanti anni ho scritto utilizzando lettere d’ogni foggia.
Grandi, piccole; grandissime, minuscole; di piombo, di plastica e di legno.
Ricordo che quando iniziai come garzone di tipografia, nel mettere a posto il risultato della scomposizione di un manifesto, notai che alcune lettere avevano un solco che le attraversava, quindi,  venivano utilizzate solamente se quelle buone non erano in numero sufficiente.

Da cosa fosse dovuto quel solco me lo spiegò Peppino: la vecchia macchina da stampa aveva la puntatura dei fogli da effettuarsi a mano. Si prelevavano i fogli, uno alla volta, e li si posizionava in una squadra d’appoggio dove il cilindro di stampa, con apposite pinze, ad ogni giro, li afferrava trascinandoli all’interno del macchinario per restituirli stampati. Dopo stampati, però, per poterli trascinare fino alla restituzione, non avendo una successiva serie di pinze, i fogli venivano trattenuti, lungo tutto il percorso all’interno macchina, con una serie di fili di spago che giravano insieme al cilindro di stampa. Ovviamente questi spaghi venivano spostati a seconda della dimensione del foglio; avvicinati tra loro se il foglio era piccolo, allargati, se grande. Se ci si ricordava di allargarli però, se non lo si faceva, nel momento della stampa, capitavano tra il foglio e le lettere ed ecco il solco e conseguenti bestemmie.
Quante storie potrebbero raccontare quelle lettere: feste e annunci mortuari; ordinanze comunali e campagne elettorali. Però nessuno più le interroga. Prima la stampa offset, poi quella digitale, ne hanno fatto delle reliquie di un mondo che non c’è più.
A meno che…
Non più lettere allineo per scrivere al contrario, di lavori successivi alla stampa ora mi occupo e, per puro diletto, tempo fa cominciai a lavorare il legno.
Vedi un po’, l’acca, da sempre muta (tranne che nella parola Elah, famosa marca di caramelle) e sfottuta dalle altre lettere, si sta prendendo una rivincita visto che, almeno in tipografia, tutte si sono ammutolite.






Ecco che prendo una muta acca e, non più  chiacchierone di lei, altre lettere. 
Le taglio a metà.
Le foro al centro…

…e  le monto sul mio attuale compagno, un tornio usato, vantaggioso affare trovato in internet (altra causa dell’ammutolimento di lettere e punteggiature tridimensionali). Proviene dalla Sicilia ed era di proprietà di del  simpatico gestore di una sala giochi. Gaetano, così si chiama il gestore, per un po’ di tempo si è dilettato nella produzione di stecche da biliardo che, su richiesta, vendeva ai propri clienti, fino a che, vuoi il limitato numero di richiedenti, vuoi una ricca scorta nel frattempo accumulata, viene a nausea della monotonia delle operazioni di produzione. Poco sfogo si può dare alla fantasia nel produrre stecche da biliardo a meno che non ci si metta ad abbinare legni di diverso colore; solchi non ne puoi fare, curve non ne puoi apportare.
. Questo è quello che pensavo fino a che non ho parlato con lui capendo quanto semplice la stavo facendo. Gestire una sala da biliardo per procacciarsi di che vivere è un conto, vivere il biliardo come una disciplina necessariamente colma di consapevolezza è ben altra cosa.
Fermarsi, annullare il mondo circostante, immaginare traiettorie che magari ancora non si è sperimentato, va ben oltre il punteggio che si vuole ottenere. Mettere ogni parte del proprio corpo esattamente come si pensa essere adatto per quel particolare, specifico gesto è come posizionarsi per eseguire una figura tàijíquán che solo apparentemente è un semplice gesto ginnico.
Così è per il suo strumento, la stecca.
Come fa una stecca a rimanere, per molti anni,  perfettamente lineare ed equilibrata se dietro non ci fossero  stati  ebanisti pronti ad inventare sempre più nuovi e adatti accoppiamenti ed incastri di vari legni?
Ecco dove la fantasia da sfogo in un solo apparentemente semplice oggetto.

Gaetano, dopo aver venduto a me il suo tornio, si è accorto che non era finita la sua opera di produttore di stecche, ma semplicemente che il tornio che aveva, adattissimo per me alla produzione di ciò che mi piace, non era più sufficiente per i risultati che voleva ottenere in termini di precisione ed eleganza. Ora ha un tornio più preciso e adatto ad ottenere stecche di alta qualità; gli è mancato per un po’ il contatto con il legno, tra poco ricomincerà a seguire i sogni di artisti della stecca con uno strumento che gli permetterà di andare oltre, ma questa è un’altra storia.
Quel tornio  attraversa lo stretto di Messina e giunge nel basso Lazio, a Spigno, finalmente può rinnovare le sue possibilità dando vita a forme d’ogni tipo: vasetti, mortai, soprammobili, trottole e penne.




Esatto! penne.
Una muta acca torna a dire la sua anche se di suoni non ne emette se non quello del rollare della sfera sul foglio.
Tante lettere ora, con il contributo di un siculo tornio, tornano ad avere voce.
Lettere molto usate come le a, oppure le e, pur essendo tutte del medesimo legno (solitamente pero o bosso), hanno acquisito una tonalità di colore scuro quanto l’inchiostro che hanno assorbito; l’acca, che veniva utilizzata raramente, vedeva soggetti ancora nuovi o quasi all’interno della cassa, quindi è rappresentata da pezzi più chiari.
Volendo, dal colore della penna, ora puoi scrivere parole che si riconoscono dalla sequenza di chiaro e scuro.


















Una penna scura scriverà una bella A

Una penna chiara non potrà che scrivere un’ACCA

Però una acca, una a o qualsiasi altra lettera, potranno scrivere qualsiasi cosa: una sola lettera, tante parole.
Sono contento di poter dire d’essere un compositore tipografico. Altrettanto contendo di essere poi diventato compositore linotipista.
Ora sono felice di poter dare nuova voce a lettere ormai mute,  parleranno con le mie penne.