martedì 23 agosto 2011

NON NE TAGLIATE PIU'


1977

Un ragazzo che veniva dal lago Maggiore andò ad abitare provvisoriamente (ancora non sapeva che sarebbe rimasto in quel comune fino ad oggi) presso un alberghetto a pochi metri dai tre ponti che scavalcano attualmente il Garigliano (allora quello della superstrada era ancora da iniziare) a circa un chilometro da dove il verde fiume diventa una cosa unica con il Tirreno.

Passava ore a guardare scorrere il fiume dal ponte mezzo tondo, doveva far scorrere le ore come l’acqua attendendo che il padre tornasse dal lavoro.
Ore e ore passate su e giù per il fiume, a volte nel sud Italia a volte nell’Italia centrale, infatti il fiume è il confine tra Lazio e Campania, fino a giungere al mare sempre un poco agitato là dove accoglie l’acqua che proviene dall’interno.
Altre ore le passava sulla Domiziana, sempre camminando ma essendoci ben poco da vedere, preferiva far andare i passi sull’Appia in direzione della sconosciuta Sessa Aurunca; arrivava fino all’incrocio per San Castrese e mai abbastanza si colmava di meraviglia a rimirare gli altissimi pini marittimi che sui due lati della strada offrono una salvifica ombra dai tempi in cui era percorsa da carri e carrozze con la benedizione di carrettieri e vetturini.

2011

Quella strada, proprio in prossimità dell’incrocio che porta alla frazione di San Castrese, una moderna rotonda pare atterrata così com’è dall’alto, come un disco volante, in verità è stata molto meno poeticamente costruita con ruspe e cemento, a dir la verità è affatto utilissima sia perché rallenta il traffico in un punto pericoloso, sia perché facilità l’immissione sulla strada principale a chi vi si vuole immettere dalle vie laterali, soprattutto d’estate quando il serpentone dei pendolari della spiaggia offre poco spazio tra le sue spire ma questo ha comportato un’aggiunta: lavori di allargamento della carreggiata che vedeva il proprio nastro d’asfalto continuamente corrugato dalle radici dei grandi pini.

I pini, come le montagne, non sono più cose vive, sono solamente dei problemi da risolvere per migliorare la motilità di quei piccoli esseri che si vogliono spostare continuamente con le loro scatolette su ruote.
I pini danno fastidio e si devono abbattere, così gli occhi di quel ragazzo che vi passava meravigliato sotto, grato per l’ombra offerta, si riempiono di lacrime come quelli di un fantino che sa morente il proprio cavallo dopo una tremenda caduta.
Perché dobbiamo sacrificare sempre tutto alla migliore mobilità delle automobili, anche pini che ci hanno solo regalato comodità e bellezza; pini che rendevano meravigliosa una striscia di catrame frammisto a ghiaia.
Quel ragazzo ora sta sperando che l’abbattimento si sia fermato all’uccisione di quei quattro pini e che la ripresa dei lavori, dopo la pausa estiva, non faccia venire la voglia a nessuno di continuare la strage, l’Appia, dal Garigliano si allunga per oltre cinquanta chilometri ed è protetta da centinaia di pini, quanti di questi dovranno ancora cadere prima che qualcuno dica che se sono pericolosi a causa della loro prossimità alla pista, basta rallentare la corsa degli esserini nelle loro scatolette su ruote?