domenica 16 ottobre 2011

Lettera aperta all'ANAS


Questa lettera ha una colonna sonora, clicca qui Ottorino Respighi infatti scrisse un poema sinfonico intitolato “Pini della Via Appia” e costui competeva con Ravel e Tchaikowsky, chissà quel suo “crescendo” come lo chiuderebbe oggi se avesse modo di percorrere l’Appia nel territorio di Sessa Aurunca.
Mercoledì, 24 agosto 2011, ecco cosa scrissi a proposito dell’abbattimento di quattro pini marittimi, avvenuto lungo l’Appia, nei primi chilometri appartenenti alla Campania.
Solo quattro ne buttarono giù allora eppure, a vedere quei giganti distesi a terra, già veniva da piangere.
Altri 15 ne hanno abbattuti nel medesimo tratto della millenaria strada.
Con una ruspa dapprima tolgono il terreno da sotto la pianta dal lato verso il quale lo vogliono far cadere, così da togliere presa alle radici poi, sempre con la benna della ruspa lo spingono letteralmente a terra così che il groviglio di radici venga eliminato insieme all’albero stesso.
Perché?
Non conosco un comunicato ufficiale divulgato dall’ANAS riguardante i lavori di ampliamento dell’Appia con l’installazione di due rotonde, affatto utili lo ammetto, ma che non richiedevano gli abbattimenti.
Suppongo che le motivazioni siano da ricercarsi nell’esigenza dell’allargamento della sede stradale inoltre, immagino, il continuo crescere delle radici, deforma la cimosa del nastro d’asfalto.
No! Non può essere questa la serie di motivazioni che ha indotto all’abbattimento degli alberi, altrimenti li si dovrebbe abbattere fino all’imbocco dell’autostrada di Capua.
La “fettuccia” di Terracina è l’altro tratto di Appia che subito mi salta alla mente che abbia le medesime caratteristiche; la Via Emilia; la Salaria appena fuori Roma e….
Migliaia di chilometri di catrame che di bello hanno solamente la cornice di alberi e proprio quella cornice viene eliminata in nome di un migliore camminare delle automobili.
L’isola di Pasqua è l’isola più lontana dalla terra ferma e praticamente non ha alberi, pare che questo sia dovuto alla necessità di costruire il mezzo utile al trasporto dei Moai, le enormi teste di roccia monolitica, dall’interno dell’isola fino alla costa dove questi venivano eretti.
Dalle cronache antiche, gli alberi coprivano la penisola Iberica senza soluzione di continuità, dai Pirenei all’Atlantico, oggi la Spagna è praticamente desertica.
Il sud-est asiatico, sta venendo in questo momento, spogliato dalla sua coltre verde.
La foresta Amazzonica e ancora grandissima, sai quanti alberi ci sono, uh! a voglia.
Negli ultimi 40 anni è stata ridotta del 17%, come se ad un uomo togliessero tutta la pelle da testa e braccia.
Perché?
Il motivo principale dell’abbattimento degli alberi in sud America e dovuto all’ampliamento degli allevamenti di bovini da macinare per produrre hamburger e per la coltivazione di soia, da mangiare? No! per la produzione di carburante “ecologico”, carburante necessario a far camminare quelle automobili che inducono all’abbattimento degli alberi sull’Appia.
Dice un antico detto, da attribuirsi ad una non precisata tribù di nativi d’America:
Il mondo non lo ereditiamo dai nostri avi, ma lo prendiamo in prestito dai nostri figli
Piede di Corvo, il capo della tribù dei Piedi Neri, nativi d’America disse:
Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.
La nostra terra vale più del vostro denaro. E durerà per sempre. Non verrà distrutta neppure dalle fiamme del fuoco.
Finchè il sole splenderà e l’acqua scorrerà, darà vita a uomini e animali.
Non si può vendere la vita degli uomini e degli animali; è stato il Grande Spirito a porre qui la terra e non possiamo venderla perchè non ci appartiene.
Potete contare il vostro denaro e potete bruciarlo nel tempo in cui un bisonte piega la testa, ma soltanto il Grande Spirito sa contare i granelli di sabbia e i fili d’erba della nostra terra.
Come dono per voi vi diamo tutto quello che abbiamo e che potete portare con voi, ma la terra mai.
Ci stiamo letteralmente mangiando il pianeta per morire obesi o schiantati a 200 all’allora.
Bah! Forse è giusto così.
Io non sono d’accordo.

giovedì 6 ottobre 2011

NOI, LATINO-AMERICANI di Ferreira Gullar


NOI, LATINO-AMERICANI
Siamo tutti fratelli
ma non perché abbiamo
la stessa madre e lo stesso padre:
è che abbiamo lo stesso socio
che ci imbroglia.
Siamo tutti fratelli
non perché dividiamo
lo stesso tetto o la stessa mensa:
abbiamo la stessa spada
sopra la testa.
Siamo tutti fratelli
non perché abbiamo
la stessa culla, lo stesso cognome:
abbiamo lo stesso percorso
di furia e fame.
Siamo tutti fratelli
non perché sia lo stesso il sangue
che in corpo abbiamo:
ciò che è uguale è il modo
come lo versiamo.
Ferreira Gullar.