lunedì 9 novembre 2020

Kamala Harris, vicepresidente USA

Forse, un domani, ci si renderà conto che, da quando chi ricopre l'incarico di vicepresidente è una donna, la situazione generale è migliorata. Solamente in quell'occasione si potrà dire che ci voleva proprio una donna a ricoprire quell'incarico.

 Fino ad allora, una persona ricoprirà quel ruolo e, non essendo molto fiducioso nell'altruismo di chi sta ai vertici della politica, che sia un uomo o una donna a ricoprire il ruolo di vicepresidente degli Stati Uniti d'America, non mi entusiasma più di tanto, anche perché qualcuno potrà considerare esagerati i cambiamenti, come quelli fatti in tema di sanità da un altro primo nero.

Ogni papa è il primo in qualcosa, che si tratti della provenienza, del colore degli occhi, del numero di scarpe o del ruolo ricoperto fino alla sua elezione non importa, l'importante è sottolinearlo nei propri articoli. Così è per presidenti o vicepresidenti, il culo dell'occasione che ci presenta l'elezione del presidente USA di quest'anno, con un vicepresidente con tutte le carattetistiche della signora Harris, lo vedo un tantino pilotato.

Non che non mi faccia piacere, cazzarola, anche perché sono convinto che chi appartiene a categorie solitamente poco considerate, per emergere in qualsiasi ambito, debba farsi un mazzo doppio, se non quadruplo, per vedere riconosciuti i propri meriti, ma ai livelli della signora Harris, vi si arriva squoiando e illudendo non poche persone.

Vedremo, ma non mi illudo, nemmeno un pochino, mi informerò meglio sulla persona che è diventata vicepresidente degli USA senza farmi condizionare dal genere a cui appartiene.