lunedì 7 ottobre 2013

Un polentone a Minturno


Non era la prima volta che entrava nella stazione di Milano, era la prima che lo faceva da solo; riempiendola con tutta la famiglia o con qualche suo componente, si rimpiccioliva. Solo, si sentiva piccolo, le volte di vetro e acciaio erano per lui appena un poco più basse del cielo, lontano, gli archi si aprivano sull’infinito come se stesse guardando da dentro un’astronave con i portelloni aperti.
Il treno lo avrebbe portato giù, raggiungeva luoghi da dove provenivano tanti suoi compagni di scuola e dove andavano ogni estate, tornando a riempire le ottobrine aule con abbronzature che a Gravellona era quasi impossibile raggiungere.
Doveva andare  dal padre da poco trasferito: traversie familiari lo allontanarono; il lavoro lì lo aveva accolto. Dopo alcuni mesi l’intera famiglia seguì la strada tracciata dal quindicenne radunandosi nuovamente, anche se per pochi anni ancora, le traversie ritrovarono il passato vigore disperdendo nuovamente i vari appartenenti, anche nei sui componenti più piccoli nel frattempo cresciuti.
Minturno? boh! dove sarà mai?
Gli dissero: - E’ vicino a Gaeta.
Vabbè! Ma Gaeta dov’è?

Si,  sul mare, questo lo sapeva, la metteva sempre tra le Repubbliche Marinare salvo accorgersi poi che il conto arrivava a cinque, portandolo a nominarle nuovamente nella memoria e, dopo averle abbinate ai relativi stemmi, Gaeta rimaneva esclusa.
I suoi quindici anni avevano visto il mare solamente a Iesolo, con la nonna Afrodite e a Genova dove il padre doveva farsi visitare da un oculista l’occhio che più non aveva a causa di un maldestro affaccendarsi, aveva, di questo, il rosso ricordo di un bimbo di due anni.
Ore di treno e giunge a Roma; la città visitata in precedenza per andare a trovare zii paterni già era molto lontana da Gravellona ma il viaggio ancora non terminava, anche in quell’occasione vide il mare, a Ladispoli.
- Devi scendere a Formia, a Minturno non ferma. Gli fu detto
A Formia giunse che da poco le rotaie lo fecero avvicinare al mare come se tutti i settecento chilometri li avesse percorsi perpendicolarmente ad esso e non lungo la stivalesca costa.
Il padre era là ad aspettarlo, con una vecchia Mini bordeaux, da lì raggiunsero un mini appartamento sul retro di un albergo allora abbastanza malridotto, in una località ove oltre già non è più Lazio. Oggi, quell’albergo, non assomiglia più a quei ricordi, e vi giunge dopo una quindicina di chilometri percorsi con bocca e occhi spalancati dallo stupore dato dalla bellezza dei luoghi. Da allora cominciò a capire che bisogna apprezzare i propri luoghi anche se appartengono alla normalità.
Davanti all’albergo l’Appia, e dall’altra parte, ruderi che non comprese fino a che non li mise in relazione con ciò che gli avevano raccontato i sussidiari e i libri di storia. Un anfiteatro romano, praticamente intero, vero, circondato da un parco archeologico, vero; una piccola Pompei, vera.
Quel quindicenne, crescendo, girò non poco; la sosta più lunga a Cellole, una dozzina di chilometri più a sud.
Per arrivarci bisogna attraversare un ponte, dal quale, affacciandosi, se ne scorge un altro, borbonico, allora se ne potevano scorgere solo le colonne che sostenevano le catene che tenevano sospesa la parte percorribile, oggi anche questa ricostruita, non utilizzata per il traffico normale ma vero. Entrambi scavalcano un confine dalle molteplici peculiarità; confine tra de comuni, due province e due regioni nonché tra Italia del nord e Italia del sud e, durante la seconda guerra,  confine tra occupanti e liberatori, prendeva il nome di Gustav ma che in realtà già si chiamava Garigliano.
Quel ragazzo ora vive a Minturno con la moglie e due figli da vent’anni e più, vi giunse per una scelta fatta con la compagna. Proprio lì volevano far crescere i figli, a due passi dal mare, a due passi dai monti e lì i figli sono cresciuti, in piazza dell’Annunziata, dove le ringhiere ancora portano i segni della guerra ma dove in pace si sono fatti grandi giocando.
Più sopra c’è Traetto, la parte medioevale del paese; più sotto c’è Minturnae, la parte due volte millenaria.
Minturno, duemila anni di pensieri e fatti hanno accolto quel quindicenne e che gli hanno dato terra per radici che di anni ne hanno cinquanta e più ormai.

I figli, nel parlare,  hanno la cadenza di Minturno ma una propria ne stanno cercando. Stanno cercando la loro Minturno e questo, grazie a Minturno, che si versa sul mare, che si apre al mondo.

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