giovedì 8 agosto 2013

IL LUNGOMARISTA

Descrizione di una figura immaginaria.
Un lungomarista degno di questo nome comincia la propria giornata la sera quando se ne va dalla spiaggia, il primo giorno di ferie dopo esser giunto nella località eletta a residenza estiva.
Non comincia la mattina vi chiederete?
No, secondo me prima di diventare un vero lungomarista, deve lasciare l’ombrellone piantato e chiuso, sul bagnasciuga della spiaggia libera dove avrà intenzione di lacerare i timpani dei bagnanti, per segnare, come ogni buon maschio alpha, il proprio territorio. Quel territorio, di buon mattino, verrà anzitempo occupato cominciando con il più vecchio degli esemplari che, vuoi per il caldo, vuoi per gli anticipati risvegli mattutini caratteristici, appunto, degli esemplari più anziani, scende a rimestare sul fondo del mare in punti dove si può stare comodamente seduti, nell’atto della raccolta delle telline, gustosi piccoli molluschi particolarmente adatti per la preparazione di abbondanti spaghettate. Il maschio alpha si dedicherà più tardi al procacciamento dei molluschi da cucinare in abbondantissime soutè. Le cozze, raccolte tra i grossi massi utilizzati per realizzare barriere frangiflutti, sono stupidamente lasciate vivere la propria vita dagli abitanti autoctoni, costoro non si rendono conto che proprio il loro abbondare davanti a canali di scarico li rende più grossi e saporiti.
Al momento di lasciare la spiaggia, il buon lungomarista, dopo aver radunato i due o tre quintali di masserizie sempre utili quando si va al mare, infila la testa nella piccola piscina gonfiabile utilizzata dagli esemplari più giovani; a volte invece, si può trattare di mini-gommoni; in una mano impugna una sedia sdraio e nell’altra la borsa con i giochi per i bimbi e le chiavi dell’automobile, la quale è assolutamente indispensabile per chi si vuole fregiare del titolo di lungomarista.

Il maschio alpha nell’atto di abbandonare la spiaggia, lo si riconosce dal resto del branco soprattutto dallo sguardo perso nel vuoto, infatti, nel dimostrare tutta la sua potenza, raramente utilizza calzature di sorta e, causa i trecento gradi dell’asfalto, deve concentrare le sue forze per non mostrare debolezze lamentandosi dell’ardere delle piante dei piedi. Costui conduce l’attraversamento con un percorso in diagonale di circa 100 metri laddove la strada è larga 6.
La compagna e la madre della compagna, raramente si distinguono tra loro, entrambe con ventri prominenti, inclinate all’indietro per compensare lo squilibrio dato dal buzzo, vestono abiti drammaticamente succinti, denominati bikini, coperti da veli annodati su una spalla ma praticamente completamente aperti sul davanti. L’esemplare più vecchio delle femmine a volte lo si può riconoscere perché, non portando pesi, può gaiamente dimenare davanti al volto ventagli raffiguranti santi e madonne.
Gli esemplari femmina più piccoli trascinano teli asciugamano a terra o, tuttalpiù piccoli cani che dimenandosi cercano di far comprendere il proprio disappunto nel fatto che nessuno si accorge del guinzaglio attorcigliato intorno ad una zampa mentre le altre tre, compreso il ventre, scartavetrano la strada.
I piccoli maschi di solito si allontanano dalla spiaggia così come da questa sono partiti, cioè, calciando un supersantos in un continuum spaziotemporale nel quale non si avvedono di automobili e motocicli che, condotti da figli di lungomaristi appena più cresciuti, ancora ricordano quelle traversate al seguito del branco e, per loro, stanno attenti all’attraversamento, nel caso, salendo sui marciapiedi, rigorosamente alieni ai lungomaristi pedoni, capita però che lasciato il supersantos bucato sulla spiaggia, inforchino biciclettine comprate anni prima alle quali, tolte le rotelle precedentemente indispensabili, menano a velocità incredibili i pedali, 20 giri per ogni metro percorso, anticipando stoicamente e nel totale sprezzo del pericolo l’attraversamento stradale senza perdere inutilmente tempo per avvedersi di eventuali altri utilizzatori la strada.
Dove però, il lungomarista, esprime tutte le maestrie tipiche della sua razza, è nel condurre l’automobile che li porterà all’abitazione distante ben 50 metri dal punto dove la spiaggia da loro precedentemente occupata, tange la strada che percorrono col mezzo motorizzato.
Dopo averla caricata con gli altri rappresentanti il gruppo e di tutta l’attrezzatura oltre a quella attentamente lasciata appoggiata a secchi vuoti della spazzatura, (nel caso non venga vista dagli addetti alla nettezza urbana), mette in moto e alla velocità costante di 15 chilometri orari, cascasse il mondo, si immette alla medesima velocità sul lungomare dopo aver abbandonato la traversa nella quale, davanti ad un cancello, (tanto si vede che nessuno lo usa), aveva abbandonato l’auto con tanto di parasole e bloccasterzo, infilando la strada costiera, ovviamente senza avvedersi di eventuali altri lungomaristi, più o meno autorizzati ad avvalersi di tale qualifica.
Una volta immesso nel caotico traffico del lungomare, un vero lungomarista, abbandonando completamente la guida a vista, si gira di centottanta gradi per scaricare una gragnuola di colpi a mani aperte e chiuse sugli esemplari più piccoli seduti dietro che, giocando con il canotto, non gli permettono la visuale posteriore attraverso il predisposto specchietto. Dopo questa mansione, scarica improperi sull’esemplare femmina per far meglio comprendere dove ella male educa la prole mentre le braccia della di lei madre si interpongono fra i due a evitare gragnuole manesche anche sulla figlia. Nell’adempimento di tutte queste mansioni, avendo abbandonato al pilota automatico la guida dell’auto, quella, per conto suo, se ne è andata a camminare nella corsia opposta dove i non lungomaristi, nella loro infinita pazienza, si sono industriati in vari modi per evitare collisioni, ma dove anche, altri lungomaristi, intenti nelle medesime attività stanno per occupare la loro e solo lunghe scariche di trombe e clacson induco i guidatori a riprendere la guida a vista, mai senza prima gridare agli esemplari femmina seduti di fianco, il loro disappunto, in quanto uniche responsabili di quello che non si è trasformato in tragedia, solo grazie alla loro grande perizia nella guida.
Epilogo e fiore all’occhiello di un lungomarista che a buon titolo si vuol fregiare di questo prestigioso appellativo, è il posizionarsi tranquillo dopo tante peripezie, nella postura più classica, natiche spostate tutte in avanti fino a giungere sul bordo del seggiolino e, con il margine inferiore del finestrino all’altezza dell’orecchio, tutto l’avambraccio appeso al di fuori dello stesso, mignolo alzato e le carni che sfrigolano sui trecento gradi della lamiera esterna di un auto abbandonata ore e ore sotto il sole agostano.

Praticamente, un buon lungomarista, raggiunge livelli estremi di controllo del proprio corpo, come un monaco intento a meditare per abbandonare le percezioni date dai sensi del corpo, raggiunge una enorme capacità di sopportazione del calore.
Seconda parte

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