Dal canale che passava sotto
casa accedevamo alla fabbrica abbandonata Pariani.
Camminavamo dove si andava ad infilare sotto alle case fino a
spuntare nel cortile oppure scavalcavamo il vecchio cancello.
Una volta dentro ogni
ambiente ci vedeva a curiosare, da buoni malandrini andavamo anche sulla
soffitta che era in comune con una palazzina all’inizio di via Alluvione.
In un punto della soffitta
trovammo una botola, dava sul bagno di un’abitazione dove vivevano due persone
anziane e, anche lì, "dispresi".
Ci portavamo appresso uno
spago a quale attaccavamo un gancio che, calato nel bagno, veniva usato per far
cadere e spostare oggetti. Lo spasso era nell’immaginare quei due poveri
malcapitati alle prese con situazioni che non comprendevano, mai, infatti,
bloccarono la botola dall’interno.
In un salone dello stabilimento trovammo un
grande mucchio di tascapane militari, dentro c’erano vecchie maschere antigas,
probabilmente facevano parte della dotazione di chi vi lavorava sarebbero state sicuramente usate in caso di attacco, nella sacca c’erano anche i filtri da
avvitare e una scatolina con all’interno una piccola pezza e un tubetto di
antiappannante. A pensarci ora si può comprendere il perché fossero ancora lì,
sto parlando dell’inizio degli anni ’70 e a ben vedere la guerra non era finita
da molto.
Nel nostro immaginario, quelle maschere le avremmo potute trasformare in subacquee, infatti ce ne portammo alcune, ovviamente il risultato fu catastrofico.
Nel nostro immaginario, quelle maschere le avremmo potute trasformare in subacquee, infatti ce ne portammo alcune, ovviamente il risultato fu catastrofico.
Prima del cancello, sulla
destra, c’era un vecchio deposito del quale, a volte, lasciavano la porta
aperta. Apparteneva al mobilificio Ranchini: figuriamoci se poteva sfuggire
alle nostre visite. Dentro, una singola lampadina dava luce solamente alla
parte comunque illuminata dalla porta aperta, nel resto del magazzino era
difficile vedere qualcosa, magari un altro interruttore, da qualche parte,
c’era ma non lo sapevamo. Vecchi specchi, parti di mobili, scatole colme di
accessori e chiavi d’ogni forma, era meraviglioso.
Successivamente costruirono un nuovo stabile, dall’altra parte della breve stradina, accolse il mobilificio nuovo, anche quello era sede di nostri giochi, fu lì che mi piantai gli incisivi nel ginocchio. In quel cantiere le vittime furono i muratori che vi lavoravano. Ricordo che trovai del cemento fresco, ne presi una parte e la riversai in un paio di scarponi da lavoro, poi, con il manico di un badile li puntai addosso ad una parete che in quel punto sporcai con altro cemento.
Penso che fu quella l’occasione che mi rese scettico nei confronti del malocchio, se nemmeno il muratore che il giorno dopo ha trovato gli scarponi cementati al muro, ha colto nel segno, e sicuramente ci ha provato, vuol dire che il metodo non funziona. Ora rido di quei fatti ma se scoprissi adesso che un ragazzino fa di questi scherzi mi arrabbierei non poco.
Successivamente costruirono un nuovo stabile, dall’altra parte della breve stradina, accolse il mobilificio nuovo, anche quello era sede di nostri giochi, fu lì che mi piantai gli incisivi nel ginocchio. In quel cantiere le vittime furono i muratori che vi lavoravano. Ricordo che trovai del cemento fresco, ne presi una parte e la riversai in un paio di scarponi da lavoro, poi, con il manico di un badile li puntai addosso ad una parete che in quel punto sporcai con altro cemento.
Penso che fu quella l’occasione che mi rese scettico nei confronti del malocchio, se nemmeno il muratore che il giorno dopo ha trovato gli scarponi cementati al muro, ha colto nel segno, e sicuramente ci ha provato, vuol dire che il metodo non funziona. Ora rido di quei fatti ma se scoprissi adesso che un ragazzino fa di questi scherzi mi arrabbierei non poco.
Il canale, che li vicino si
riversava nello Strona, faceva parte della nostra vita quanto le strade intorno
alle nostre case. D’inverno, praticamente vuoto, vedeva il fondo coprirsi di
neve, (il mostro non c'era, forse faceva troppo freddo anche per lui),
questa ghiacciava quindi andavamo a cercare pezzi di plastica dal Gasparoli
oppure scatole di camicie in qualche merceria e li usavamo come slitte, quando
si consumavano troppo, eravamo belli stanchi da non cercarne altre.
Quando costruirono la rampa
che permetteva di accedere al ponte militare che sostituì quello crollato a
causa di una piena, lo fecero costruendo un terrapieno nel cortile del palazzo
dove viveva il Luigino.
Anche la scarpata che si era
venuta a formare fornì una discesa utile a scivolare con i cartoni, purtroppo
il Pinuccio ne porta il ricordo procuratogli da un pezzo di vetro nascosto tra
l’erba, la natica gli si aprì procurandogli una corsa all’ospedale.
Certo è che da ragazzini ne procuravamo parecchio di lavoro ai medici del pronto soccorso.
Certo è che da ragazzini ne procuravamo parecchio di lavoro ai medici del pronto soccorso.
Davanti al marciapiedi del
Gasparoli, il negozio di materiale elettrico dal quale compravamo i tubi di
plastica per produrre le cerbottane, (era quindi anche armaiolo), c’era un
marciapiedi che sulla destra si allargava un poco; in quel largo ci
depositavano provvisoriamente gli scatoloni degli elettrodomestici venduti.
Prima che il negozio alzasse le saracinesche per l’apertura pomeridiana, in
mezzo a quegli scatoloni, ci nascondevamo in attesa che, dall’altra parte del
muro, gli inservienti del laboratorio del Crola abbandonassero il posto di lavoro,
per portare le paste nel negozio in via Marconi. Poi, come razzi, scendevamo
giù per la discesa e arraffavamo più paste che potevamo. Molte volte i
dolci li ho dovuti leccare dalla mano a più riprese, le tasche, infatti, non
sono un contenitore molto adatto per meringhe e bignè, anche questa è una
grande lezione di vita e, proprio per questo, quando oggi compro le paste, non
obbietto affatto se me le mettono in un vassoio.
Capitavano anche giornate
molto più calme, giornate dove la nostra voglia d’avventura veniva sostituita
dalla passione che Massimo aveva per le marionette. A casa sua organizzava
spettacolini per tutti i ragazzini della via. Suo padre lo odiavo, aveva
trasformato l’unico prato in un
parcheggio dove una serie di box offriva alloggio a pagamento ad
automobili laddove ci distendevamo a mangiare “pane e vino”. Di quell’erba
acidula porto un ricordo ahime! irripetibile, dove vivo ora non c’è, al solo
pensarla mi si forma l’acquolina in bocca.
Le giornate di pioggia spesso
le passavamo in una sorta di granaio dove viveva la Cecilia , lei non usciva
mai dal suo ghiaioso cortile, quindi noi le offrivamo la nostra solidarietà
dandole compagnia, a ricordare bene, solo quando pioveva però; forse non era
proprio solidarietà.
Del ponticello che scavalcava
il canale per portare in via Alluvione, porto anche un ricordo brutto, una
ragazzina di poco più grande di me, andò a sbattere con il manubrio contro il
parapetto di ferro, una delle due maniglie gli si infilò nel fianco. Dopo parecchio
tormento se ne andò lasciando sole le sue due sorelle gemelle che, anche se di
un anno più grandi, (ah! quanto sono più grandi, a quell’età, quelli che hanno
un anno in più), spesso facevano parte della banda di via Pariani.
Nella prima fotografia ci sono io in quello che era il prato che accolse le rimesse. Anno 1966/1967.
Nella seconda fotografia Marida e Carlo Gasparoli con la loro mamma. La fotografia è un dono di Marida. Anno 1964
Nella prima fotografia ci sono io in quello che era il prato che accolse le rimesse. Anno 1966/1967.
Nella seconda fotografia Marida e Carlo Gasparoli con la loro mamma. La fotografia è un dono di Marida. Anno 1964
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