lunedì 10 febbraio 2014

Via Pariani



Dal canale che passava sotto casa accedevamo alla fabbrica abbandonata Pariani.
Camminavamo dove si andava ad infilare sotto alle case fino a spuntare nel cortile oppure scavalcavamo il vecchio cancello.
Una volta dentro ogni ambiente ci vedeva a curiosare, da buoni malandrini andavamo anche sulla soffitta che era in comune con una palazzina all’inizio di via Alluvione.
In un punto della soffitta trovammo una botola, dava sul bagno di un’abitazione dove vivevano due persone anziane e, anche lì, "dispresi".
Ci portavamo appresso uno spago a quale attaccavamo un gancio che, calato nel bagno, veniva usato per far cadere e spostare oggetti. Lo spasso era nell’immaginare quei due poveri malcapitati alle prese con situazioni che non comprendevano, mai, infatti, bloccarono la botola dall’interno.
In un salone dello stabilimento trovammo un grande mucchio di tascapane militari, dentro c’erano vecchie maschere antigas, probabilmente facevano parte della dotazione di chi vi lavorava sarebbero state sicuramente usate in caso di attacco, nella sacca c’erano anche i filtri da avvitare e una scatolina con all’interno una piccola pezza e un tubetto di antiappannante. A pensarci ora si può comprendere il perché fossero ancora lì, sto parlando dell’inizio degli anni ’70 e a ben vedere la guerra non era finita da molto.
Nel nostro immaginario, quelle maschere le avremmo potute trasformare in subacquee, infatti ce ne portammo alcune, ovviamente il risultato fu catastrofico.
Prima del cancello, sulla destra, c’era un vecchio deposito del quale, a volte, lasciavano la porta aperta. Apparteneva al mobilificio Ranchini: figuriamoci se poteva sfuggire alle nostre visite. Dentro, una singola lampadina dava luce solamente alla parte comunque illuminata dalla porta aperta, nel resto del magazzino era difficile vedere qualcosa, magari un altro interruttore, da qualche parte, c’era ma non lo sapevamo. Vecchi specchi, parti di mobili, scatole colme di accessori e chiavi d’ogni forma, era meraviglioso.
Successivamente costruirono un nuovo stabile, dall’altra parte della breve stradina, accolse il mobilificio nuovo, anche quello era sede di nostri giochi, fu lì che mi piantai gli incisivi nel ginocchio. In quel cantiere le vittime furono i muratori che vi lavoravano. Ricordo che trovai del cemento fresco, ne presi una parte e la riversai in un paio di scarponi da lavoro, poi, con il manico di un badile li puntai addosso ad una parete che in quel punto sporcai con altro cemento.
Penso che fu quella l’occasione che mi rese scettico nei confronti del malocchio, se nemmeno il muratore che il giorno dopo ha trovato gli scarponi cementati al muro, ha colto nel segno, e sicuramente ci ha provato, vuol dire che il metodo non funziona. Ora rido di quei fatti ma se scoprissi adesso che un ragazzino fa di questi scherzi mi arrabbierei non poco.
Il canale, che li vicino si riversava nello Strona, faceva parte della nostra vita quanto le strade intorno alle nostre case. D’inverno, praticamente vuoto, vedeva il fondo coprirsi di neve, (il mostro non c'era, forse faceva troppo freddo anche per lui), questa ghiacciava quindi andavamo a cercare pezzi di plastica dal Gasparoli oppure scatole di camicie in qualche merceria e li usavamo come slitte, quando si consumavano troppo, eravamo belli stanchi da non cercarne altre.
Quando costruirono la rampa che permetteva di accedere al ponte militare che sostituì quello crollato a causa di una piena, lo fecero costruendo un terrapieno nel cortile del palazzo dove viveva il Luigino.
Anche la scarpata che si era venuta a formare fornì una discesa utile a scivolare con i cartoni, purtroppo il Pinuccio ne porta il ricordo procuratogli da un pezzo di vetro nascosto tra l’erba, la natica gli si aprì procurandogli una corsa all’ospedale.
Certo è che da ragazzini ne procuravamo parecchio di lavoro ai medici del pronto soccorso.


Davanti al marciapiedi del Gasparoli, il negozio di materiale elettrico dal quale compravamo i tubi di plastica per produrre le cerbottane, (era quindi anche armaiolo), c’era un marciapiedi che sulla destra si allargava un poco; in quel largo ci depositavano provvisoriamente gli scatoloni degli elettrodomestici venduti. Prima che il negozio alzasse le saracinesche per l’apertura pomeridiana, in mezzo a quegli scatoloni, ci nascondevamo in attesa che, dall’altra parte del muro, gli inservienti del laboratorio del Crola abbandonassero il posto di lavoro, per portare le paste nel negozio in via Marconi. Poi, come razzi, scendevamo giù per la discesa e arraffavamo più paste che potevamo. Molte volte i dolci li ho dovuti leccare dalla mano a più riprese, le tasche, infatti, non sono un contenitore molto adatto per meringhe e bignè, anche questa è una grande lezione di vita e, proprio per questo, quando oggi compro le paste, non obbietto affatto se me le mettono in un vassoio.
Capitavano anche giornate molto più calme, giornate dove la nostra voglia d’avventura veniva sostituita dalla passione che Massimo aveva per le marionette. A casa sua organizzava spettacolini per tutti i ragazzini della via. Suo padre lo odiavo, aveva trasformato l’unico prato in un  parcheggio dove una serie di box offriva alloggio a pagamento ad automobili laddove ci distendevamo a mangiare “pane e vino”. Di quell’erba acidula porto un ricordo ahime! irripetibile, dove vivo ora non c’è, al solo pensarla mi si forma l’acquolina in bocca.
Le giornate di pioggia spesso le passavamo in una sorta di granaio dove viveva la Cecilia, lei non usciva mai dal suo ghiaioso cortile, quindi noi le offrivamo la nostra solidarietà dandole compagnia, a ricordare bene, solo quando pioveva però; forse non era proprio solidarietà.
Del ponticello che scavalcava il canale per portare in via Alluvione, porto anche un ricordo brutto, una ragazzina di poco più grande di me, andò a sbattere con il manubrio contro il parapetto di ferro, una delle due maniglie gli si infilò nel fianco. Dopo parecchio tormento se ne andò lasciando sole le sue due sorelle gemelle che, anche se di un anno più grandi, (ah! quanto sono più grandi, a quell’età, quelli che hanno un anno in più), spesso facevano parte della banda di via Pariani.

Nella prima fotografia ci sono io in quello che era il prato che accolse le rimesse. Anno 1966/1967.
Nella seconda fotografia Marida e Carlo Gasparoli con la loro mamma. La fotografia è un dono di Marida. Anno 1964


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