Googlemaps l’ho usato per
cercar di trovare l’albero sul quale mi arrampicavo.
In fondo a via Alluvione, una
sbarra bloccava l’accesso ad un prato nel quale, più o meno legalmente,
riversavano rifiuti d’ogni sorta. Questo non ci fermava dall’esplorare tra gli
scarti, ogni tanto si trovava qualcosa che incuriosiva.
Quel prato lo chiamavamo
“ilpratolàinfondo”. Dalla sbarra in poi si allargava fino a che ti potevi, a
destra, affacciare dall’argine sullo Strona. L’argine era costituito da enormi
massi che rendevano la sponda liscia, ma trovavamo sempre qualche fessura alla
quale aggrapparci per scendere, altri enormi massi, distribuiti alla rinfusa,
fungevano da frangiflutti e tra essi pescavamo avannotti immergendo
semplicemente una tanica nelle pozze. Si andava là anche perché il torrente,
acchiappato un pallone sfuggito al controllo di chi giocava vicino alla riva,
lo Strona lo metteva in una continua, frenetica rotazione laddove non trovava
più la via verso il Toce. Io e il Luigino che in quanto a scaltrezza non ci
batteva nessuno, scendevamo e ce ne impossessavamo, anche di più d’uno alla
volta.
Sulla destra del
pratolàinfondo, un muro fungeva da cortina, ci separava da una lunga fossa
nella quale, la “Legatoria”, buttava gli scarti di lavorazione. L'azienda collaborava con una nota casa editrice quindi, in quella fossa, vi trovavamo interi fogli di figurine appartenenti alle
varie collezioni, ci era sufficiente acquistare l’album e la collezione la
finivamo velocemente, però, ogni figurina, prima di poter essere attaccata
all’album, richiedeva un certosino lavoro di forbici, ma il tempo, a ben
vedere, non ci mancava.
Dopo la Legatoria , una strada
ripartiva verso sinistra fino ad incrociarsi con via Marconi, dirimpetto, dall’altra
parte dell’incrocio, si andava al vecchio stadio al di fuori del quale, enormi
cataste di tronchi, attendevano il loro turno prima di entrare in una segheria.
A volte lo spazio non era sufficiente quindi venivano accatastati a ridosso di
un altissimo albero, ora in quel punto, se non erro, un megaparcheggio fa
capire che di quell’albero non è che qualcuno si importasse molto.
Per me invece, diventava
veliero. Usando i tronchi distesi uno sull’altro come fossero una scalinata,
potevo arrivare ai rami più bassi e da lì andavo più su, sempre più su;
sceglievo il ramo più comodo e, schiena appoggiata al tronco, facevo penzolare
le gambe. Meraviglioso diventava quel veliero quando il vento si impossessava
delle sue fronde, dondolava in modo che da terra era impercettibile, ma, lassù,
le farfalle nello stomaco svolazzavano gaie fino a che non mi abituavo. Quando
mi abituavo? Cercavo la stessa sensazione salendo ancora, e ancora,
probabilmente, se avessi continuato a vivere a Gravellona sarei ancora lì a
cercar di salire oltre. Ovviamente questo non è stato possibile: me ne sono andato
e han buttato giù il veliero.
Quello che si vedrebbe da quell'albero, guardando verso lo Strona, più o meno e quello che si vede in questa foto, probabilmente lo si vedrebbe più a destra; il resto che dalla coffa si poteva mirare, lo risparmio a chi legge.
La prima volta che ho avuto a
che fare con i Carabinieri è stato proprio nella fossa delle cartacce della
legatoria. Io e Luigino, intenti a cercare cose utili, non ci accorgevamo che
due Carabinieri, i quali indossavano solamente i calzini,
evidentemente le scarpe avrebbero prodotto quel rumore che solitamente mette in
fuga i criminali, arrivarono vicino a noi urlando un deciso e perentorio:
Fermi!
Col cavolo. Cominciai a
correre con una spinta da sotto aiutai a conquistare la sommità del muro a
Luigi che era più bassino di me ma questo mi attardò quel tanto che bastava al
sopraggiungere del militare.
Fummo condotti in caserma da
dove chiamarono mio padre, appena giunse, senza sentir ragione alcuna, mi mollò
una papagna che ricordo benissimo. Scoprimmo solo successivamente che la
presenza dei militari era dovuta ad una denuncia fatta dall’azienda per la
scomparsa di alcuni scatoloni contenenti enciclopedie. I ladri avevano avuto
accesso allo stabilimento semplicemente sollevando un lembo di lamiera che ne
costituiva le pareti.
Venimmo ovviamente
rilasciati, non senza la promessa di mio padre di una più severa sorveglianza
nei confronti dei due monelli.
In un’altra occasione, quel
luogo diventò punto d’avventura.
Dall’altra parte di via
Marconi, vicino alla “Pineta”, c’era una rivendita di materiale per l’edilizia.
Poteva mai quel luogo
scansarsi la nostra visita?
Giammai. Una volta trovammo
un blocco unico di polistirolo, mai più ne vidi in vita mia di così grandi; enorme ma estremamente
leggero, io davanti, Luigino dietro, appoggiato il blocco in testa arriviamo
fino al torrente. Acceso un fuoco, con i tizzoni cominciammo a scavare il
blocco, doveva diventare la nostra barca e lo diventò, ma il metodo del fuoco per
lo scavo venne abbandonato quando ci rendemmo conto che il polistirolo,
bruciando, diventava duro e in alcuni punti, tagliente. Finimmo l’opera con
bastoni e pezzi di vetro, nascondemmo tra i massi la barca ripromettendoci che
il giorno dopo sarebbe stata campale.
Molti giorni passammo con quell’artigianale natante fino a che un giorno
vedemmo dei pescatori che, montati sopra, arrivarono fino al Toce armati delle
loro canne.
Non trovammo più la “barca”.
Alla fine del pratolàinfondo
c’era un boschetto di robinie, una delle mete delle nostre giornate; nascosta
tra gli spinosi, piccoli tronchi, c’era una baracca che mai potemmo utilizzare, era diventata un
gabinetto puzzolente.
Altre ne costruimmo noi.
Al limitare del boschetto un
allevamento di mucche e un campo di mais che, arrivato alla maturazione che
donava morbidi grani, diventava luogo ove far spesa. Alcune pannocchie, un
fiammifero e un po’ di legna: altro meraviglioso modo di passare le ore.
Via Pall e gli scritti di Samuel Langhorne Clemens, raccolti in splendidi
libri, io li ho vissuti.
A ben vedere, dall’età della
ragione, ho vissuto a Gravellona Toce veramente pochi anni, mi domando:- Ma
quanto erano lunghe quelle giornate? Trovavo anche il tempo di abbuffarmi di
libri, sia quelli classici per ragazzi che quelli che leggeva mio padre,
ricordo ancora oggi il mio primo libro da lettore adulto: “Centomila gavette di
ghiaccio”, era più grosso di me come quelli di Leon Uris, ma con loro ho
viaggiato il mondo quanto oggi si fa con googlemaps.
Nessun commento:
Posta un commento