venerdì 7 febbraio 2014

Da una vecchia fotografia - L'Albero sul quale mi arrampicavo


Googlemaps l’ho usato per cercar di trovare l’albero sul quale mi arrampicavo, a Gravellona molti ce n'erano, cachi, ciliegi e meli, ma quello di cui racconto aveva un posto particolare nei momenti di ricercata solitudine.
In fondo a via Alluvione, una sbarra bloccava l’accesso ad un prato nel quale, più o meno legalmente, riversavano rifiuti d’ogni sorta. Questo non ci fermava dall’esplorare tra gli scarti, ogni tanto si trovava qualcosa che incuriosiva.
Quel prato lo chiamavamo “ilpratolàinfondo”. Dalla sbarra in poi si allargava fino a che ti potevi, a destra, affacciare dall’argine sullo Strona. L’argine era costituito da enormi massi che rendevano la sponda liscia, ma trovavamo sempre qualche fessura alla quale aggrapparci per scendere, altri enormi massi, distribuiti alla rinfusa, fungevano da frangiflutti e tra essi pescavamo avannotti immergendo semplicemente una tanica nelle pozze. Si andava là anche perché il torrente, acchiappato un pallone sfuggito al controllo di chi giocava vicino alla riva, lo Strona lo metteva in una continua, frenetica rotazione laddove non trovava più la via verso il Toce. Io e il Luigino che in quanto a scaltrezza non ci batteva nessuno, scendevamo e ce ne impossessavamo, anche di più d’uno alla volta.
Sulla destra del pratolàinfondo, un muro fungeva da cortina, ci separava da una lunga fossa nella quale, la “Legatoria”, buttava gli scarti di lavorazione. Lavorando per una nota casa editrice, vi trovavamo interi fogli di figurine appartenenti alle varie collezioni, ci era sufficiente acquistare l’album e la collezione la finivamo velocemente, però, ogni figurina, prima di poter essere attaccata all’album, richiedeva un certosino lavoro di forbici, ma il tempo, a ben vedere, non ci mancava.
Dopo la Legatoria, una strada ripartiva verso sinistra fino ad incrociarsi con via Marconi, dirimpetto, dall’altra parte dell’incrocio si andava al vecchio stadio al di fuori del quale, enormi cataste di tronchi, attendevano il loro turno prima di entrare in una segheria. A volte lo spazio non era sufficiente quindi venivano accatastati a ridosso di un altissimo albero, ora in quel punto, se non erro, un megaparcheggio fa capire che di quell’albero non è che qualcuno si importasse molto.
Per me invece, diventava veliero. Usando i tronchi distesi uno sull’altro come fossero una scalinata, potevo arrivare ai rami più bassi e da lì andavo più su, sempre più su; sceglievo il ramo più comodo e, schiena appoggiata al tronco, facevo penzolare le gambe. Meraviglioso diventava quel veliero quando il vento si impossessava delle sue fronde, dondolava in modo che da terra era impercettibile, ma, lassù, le farfalle nello stomaco svolazzavano gaie fino a che non mi abituavo. Quando mi abituavo? Cercavo la stessa sensazione salendo ancora, e ancora, probabilmente, se avessi continuato a vivere a Gravellona sarei ancora lì a cercar di salire oltre. Ovviamente questo non è stato possibile: me ne sono andato e han buttato giù il veliero.
Quello che oggi si potrebbe mirare dalla coffa del veliero, guardando verso lo Strona, è ciò che si vede nella foto qua sotto, il resto lo risparmio a chi legge.

La prima volta che ho avuto a che fare con i Carabinieri è stato proprio nella fossa delle cartacce della legatoria. Io e Luigino, intenti a cercare cose utili, non ci accorgevamo che due Carabinieri arrivarono vicino a noi urlando un deciso e perentorio: Fermi! Solamente dopo  averli visti li scoprii indossare solamente i calzini, evidentemente le scarpe avrebbero prodotto quel rumore che solitamente mette in fuga i criminali.
Fermi! 
Col cavolo. Cominciai a correre, con una spinta da sotto aiutai a conquistare la sommità del muro a Luigi che era più bassino di me ma questo mi attardò quel tanto che bastava al sopraggiungere del militare.
Fummo condotti in caserma, il Luigi, infatti tornò lealmente indietro. Dalla caserma chiamarono mio padre Appena giunse, senza sentir ragione alcuna, mi mollò una papagna che ricordo benissimo. Scoprimmo solo successivamente che la presenza dei militari era dovuta ad una denuncia fatta dall’azienda per la scomparsa di alcuni scatoloni contenenti enciclopedie. I ladri avevano avuto accesso allo stabilimento semplicemente sollevando un lembo di lamiera che ne costituiva le pareti.
Venimmo ovviamente rilasciati, non senza la promessa di mio padre di una più severa sorveglianza nei confronti dei due monelli.
In un’altra occasione, quel luogo divento punto d’avventura.
Dall’altra parte di via Marconi, vicino alla “Pineta”, c’era una rivendita di materiale per l’edilizia.
Poteva mai quel luogo scansarsi la nostra visita?
Giammai. Una volta trovammo un blocco unico di polistirolo, mai più ne vidi in vita mia di così grandi.
Grande ma estremamente leggero, io davanti, Luigino dietro, appoggiato il blocco in testa arriviamo fino al torrente. Acceso un fuoco, con i tizzoni cominciammo a scavare il blocco, doveva diventare la nostra barca e lo divento, ma il metodo del fuoco per lo scavo venne abbandonato quando ci rendemmo conto che il polistirolo, bruciando, diventava duro e in alcuni punti, tagliente. Finimmo l’opera con bastoni e pezzi di vetro, nascondemmo tra i massi la barca ripromettendoci che il giorno dopo sarebbe stata campale.
Molti giorni passammo con quall’artigianale natante fino a che un giorno vedemmo dei pescatori che, montati sopra, arrivarono fino al Toce armati delle loro canne.
Non trovammo più la “barca”.
Alla fine del pratolàinfondo c’era un boschetto di robinie, una delle mete delle nostre giornate; nascosta tra gli spinosi, piccoli tronchi, c’era una baracca ma mai utilizzata, era un gabinetto puzzolente.
Altre ne costruimmo noi.
Al limitare del boschetto un allevamento di mucche e un campo di mais che, arrivato a quella maturazione che donava morbidi grani, diventava luogo ove far spesa. Alcune pannocchie, un fiammifero e un po’ di legna: altro meraviglioso modo di passare le ore.
Via Pall e gli scritti di Samuel Langhorne Clemens, raccolti in splendidi libri, io li ho vissuti.

A ben vedere, dall’età della ragione, ho vissuto a Gravellona Toce veramente pochi anni, mi domando:- Ma quanto erano lunghe quelle giornate? Trovavo anche il tempo di abbuffarmi di libri, sia quelli classici per ragazzi che quelli che leggeva mio padre, ricordo ancora oggi il primo libro da adulto che lessi: “centomila gavette di ghiaccio”, era più grosso di me come quelli di Leon Uris, ma con loro ho viaggiato il mondo quanto oggi si fa con googlemaps.

2 commenti:

  1. mi ricordi Paddy Clark (si scrive cosi?)

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  2. già! le avventure, per quanto non irlandesi, erano le vissute in ambienti fanciulleschi molto simili: http://it.wikipedia.org/wiki/Paddy_Clarke_ah_ah_ah!

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