Non era la
prima volta che entrava nella stazione di Milano, era la prima che lo faceva da
solo; riempiendola con tutta la famiglia o con qualche suo componente, si
rimpiccioliva. Solo, si sentiva piccolo, le volte di vetro e acciaio erano per
lui appena un poco più basse del cielo, lontano, gli archi si aprivano
sull’infinito come se stesse guardando da dentro un’astronave con i portelloni
aperti.
Il treno lo
avrebbe portato giù, raggiungeva luoghi da dove provenivano tanti suoi compagni
di scuola e dove andavano ogni estate, tornando a riempire le ottobrine aule
con abbronzature che a Gravellona era quasi impossibile raggiungere.
Doveva
andare dal padre da poco trasferito:
traversie familiari lo allontanarono; il lavoro lì lo aveva accolto. Dopo
alcuni mesi l’intera famiglia seguì la strada tracciata dal quindicenne
radunandosi nuovamente, anche se per pochi anni ancora, le traversie
ritrovarono il passato vigore disperdendo nuovamente i vari appartenenti, anche
nei sui componenti più piccoli nel frattempo cresciuti.
Minturno?
boh! dove sarà mai?
Gli dissero:
- E’ vicino a Gaeta.
Vabbè! Ma
Gaeta dov’è?
Si, sul mare, questo lo sapeva, la metteva sempre
tra le Repubbliche Marinare salvo accorgersi poi che il conto arrivava a cinque,
portandolo a nominarle nuovamente nella memoria e, dopo averle abbinate ai
relativi stemmi, Gaeta rimaneva esclusa.
I suoi
quindici anni avevano visto il mare solamente a Iesolo, con la nonna Afrodite e
a Genova dove il padre doveva farsi visitare da un oculista l’occhio che più
non aveva a causa di un maldestro affaccendarsi, aveva, di questo, il rosso
ricordo di un bimbo di due anni.
Ore di treno
e giunge a Roma; la città visitata in precedenza per andare a trovare zii
paterni già era molto lontana da Gravellona ma il viaggio ancora non terminava,
anche in quell’occasione vide il mare, a Ladispoli.
- Devi
scendere a Formia, a Minturno non ferma. Gli fu detto
A Formia
giunse che da poco le rotaie lo fecero avvicinare al mare come se tutti i
settecento chilometri li avesse percorsi perpendicolarmente ad esso e non lungo
la stivalesca costa.
Il padre era
là ad aspettarlo, con una vecchia Mini bordeaux, da lì raggiunsero un mini
appartamento sul retro di un albergo allora abbastanza malridotto, in una
località ove oltre già non è più Lazio. Oggi, quell’albergo, non assomiglia più
a quei ricordi, e vi giunge dopo una quindicina di chilometri percorsi con
bocca e occhi spalancati dallo stupore dato dalla bellezza dei luoghi. Da
allora cominciò a capire che bisogna apprezzare i propri luoghi anche se
appartengono alla normalità.
Davanti
all’albergo l’Appia, e dall’altra parte, ruderi che non comprese fino a che non
li mise in relazione con ciò che gli avevano raccontato i sussidiari e i libri
di storia. Un anfiteatro romano, praticamente intero, vero, circondato da un
parco archeologico, vero; una piccola Pompei, vera.
Quel
quindicenne, crescendo, girò non poco; la sosta più lunga a Cellole, una
dozzina di chilometri più a sud.
Per
arrivarci bisogna attraversare un ponte, dal quale, affacciandosi, se ne scorge
un altro, borbonico, allora se ne potevano scorgere solo le colonne che
sostenevano le catene che tenevano sospesa la parte percorribile, oggi anche
questa ricostruita, non utilizzata per il traffico normale ma vero. Entrambi
scavalcano un confine dalle molteplici peculiarità; confine tra de comuni, due
province e due regioni nonché tra Italia del nord e Italia del sud e, durante
la seconda guerra, confine tra occupanti
e liberatori, prendeva il nome di Gustav ma che in realtà già si chiamava
Garigliano.
Quel ragazzo
ora vive a Minturno con la moglie e due figli da vent’anni e più, vi giunse per
una scelta fatta con la compagna. Proprio lì volevano far crescere i figli, a
due passi dal mare, a due passi dai monti e lì i figli sono cresciuti, in
piazza dell’Annunziata, dove le ringhiere ancora portano i segni della guerra
ma dove in pace si sono fatti grandi giocando.
Più sopra
c’è Traetto, la parte medioevale del paese; più sotto c’è Minturnae, la parte
due volte millenaria.
Minturno,
duemila anni di pensieri e fatti hanno accolto quel quindicenne e che gli hanno
dato terra per radici che di anni ne hanno cinquanta e più ormai.
I figli, nel
parlare, hanno la cadenza di Minturno ma
una propria ne stanno cercando. Stanno cercando la loro Minturno e questo,
grazie a Minturno, che si versa sul mare, che si apre al mondo.
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